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Partecipando all'incontro con Mino Conte nell'ambito delle iniziative di "Un'ora sola ti vorrei" mi sono trovata in pieno accordo con le sue riflessioni.

Mi sono risuonati dei concetti che negli ultimi anni ho approfondito partendo dal valore e dal significato della parola merito sulla quale si stanno ponendo i nuovi paradigmi della scuola contemporanea.

Dalla mia bibliografia di riferimento ho estrapolato le tappe che hanno dato origine al concetto di competenze e ho cercato di sintetizzare alcuni aspetti della ricaduta che a mio avviso comportano sui piani educativo-formativo-pedagogici.

La definizione del quadro concettuale e normativo che ha reso possibile la diffusione su larga scala delle competenze  vede come prima tappa il Libro bianco "Crescita, competitività, occupazione" presentato nel 1993.

Il documento indica come principio fondamentale la "valorizzazione del capitale umano", concetto che è strettamente legato a quello di competenze, una delle parole chiave del lessico costruito intorno al merito.

Il libro bianco si propone di affrontare il tema della disoccupazione e individua la soluzione nell’incremento della competitività delle imprese su mercati aperti e concorrenziali, europei e mondiali.

L'intero sistema di istruzione europeo diventa un campo di sperimentazione in funzione di questo scopo.

E qui inserisco la riflessione di Conte sul "predeterminare i fini didattici" .

Viene disegnato un primo abbozzo delle competenze.

La Commissione europea afferma: "non tutti possono evolvere in maniera analoga nella vita professionale, anche i più sfavoriti devono avere opportunità di valorizzare al meglio le proprie capacità".

Ma si tratta solo di un artificio retorico perché il quadro complessivo delineato nel documento spiega in modo chiaro che il modo migliore per valorizzare le opportunità è quello di indirizzarle verso un canale formativo esterno alla scuola.

A questo punto il terreno è dissodato e pronto per la definizione di un quadro delle "competenze chiave".

Queste giocano un ruolo determinante in questo processo di subordinazione alla visione del mondo economico, perché spingono i sistemi educativi ad abbandonare la costruzione di saperi critici in favore dell’organizzazione di saperi strumentali.

Le competenze agiscono come dispositivi di disaggregazione e contribuiscono a indebolire i legami sociali e le forme di cooperazione, favoriscono la costruzione di identità individuali competitive sul piano economico e autosufficienti sul piano sociale poiché una persona competente agisce da sola nel mondo in modo concorrenziale.

Non si tratta più di Imparare ad imparare come occasione di sviluppo culturale, senza immediati fini utilitaristici ma di apprendere una forma specifica di comportamento: l’adattamento alle esigenze dell’impresa e alle forme specifiche di flessibilità di cui essa ha bisogno.

L'apprendimento permanente rappresenta il punto fondamentale del nuovo sistema formativo insieme all'imprenditorialità.

Il mondo reale è identificato tout court con il mondo dell’impresa.

I fautori dell'approccio per competenze sostengono di farsi carico di un limite storico del sistema scolastico nel quale l’educazione è intesa prevalentemente come trasmissione di nozioni e saperi preconfezionati ed è praticata attraverso una didattica che alimenta lo studio passivo, privo di rapporti con la vita sociale.

Qui riprendo l’osservazione di Conte che pone l’accento sulla demagogica divisione tra innovatori e conservatori.

Dewey sosteneva che l’uomo è in grado di conoscere solo in quanto si sforza di trovare risposte alle domande che gli provengono dalla situazione concreta che si trova a vivere, l’apprendimento è quindi un processo attivo e dinamico e l’educazione è articolata in una dimensione individuale e in una dimensione sociale.

L’antitesi tra sociale e individuale è falsa e pericolosa, anzi, il livello personale e quello comunitario si rafforzano a vicenda, sono legati da un rapporto di circolarità.

Questa visione dell’educazione  è in contrasto con quella praticata attraverso le competenze che, al contrario, si basa su una adesione alla realtà esistente come se questa possedesse una razionalità propria e non si propone di sottoporla ad una lettura critica, tanto meno di cambiarla, al contrario, fornire a ciascuno gli strumenti per adattarvisi.

La sua azione è modellata sugli individui singoli, privi di legami sociali, che devono essere dotati di propri "portafogli" di competenze e formati per massimizzare il vantaggio personale che può derivare da un loro uso accorto sul mercato.

 

L’orientamento delle politiche educative si è ormai spostato dal complesso delle dinamiche sociali ad una declinazione specifica ed esclusiva: l’economia e l’impresa.

Ciascun individuo deve imparare a risolvere problemi; ma perché promuovere un approccio immediatamente risolutivo e non un tempo per l’esplorazione, di riflessione, esitazione e perché no, tentativi falliti.

Come si può sostenere che la flessibilità rappresenti sempre e comunque una facoltà positiva senza considerare invece i suoi opposti quali la costanza, la perseveranza e la capacità di non arrendersi?

 

Sottoscrivo in pieno l’affermazione di Mino Conte sull’importanza delle parole; le parole formano il pensiero, gli atteggiamenti ed anche i valori.

Perché allora non sostituire alla didattica per competenze la didattica per complessità, per esperienze, per sedimentazione e interiorizzazione?

 

Bibliografia: "Contro l’ideologia del merito" M. Boarelli, Glf Laterza

Teresa Marino

avatar Attilio Paparazzo 1 mese fa
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L’intervento di Mino Conte, nel programma di “Un’ora sola ti vorrei”, ha provocato una ricca e interessante discussione; molti consensi, ma anche alcune prese di distanza. (trovi qui la registrazione del suo...
avatar Nadia Ferrari 1 mese fa
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Dopo aver partecipato all’incontro tenuto dal prof Mino Conte provo a dare il mio contributo su alcuni degli aspetti che più mi hanno colpito, cercando di mettere l’accento più che sulle cose sulle quali...