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Inviato da avatar Marco Granelli il 27-11-2013 alle 21:43

Dopo aver letto alcuni commenti allo sgombero delle aree di via Montefeltro e via Brunetti ho scritto alcune mie riflessioni.

Lo sgombero di Montefeltro e Brunetti non è stata una sconfitta.

La scorsa notte è stata la seconda di quest’inverno con temperature sotto lo zero. Meno male che i 31 bambini sotto i tre anni che fino a lunedì scorso vivevano con le loro famiglie negli insediamenti di via Brunetti e via Montefeltro, hanno potuto passare queste due notti in un letto caldo, senza topi e senza immondizie. Almeno per loro e per qualche loro sorellina o fratellino più grande lo sgombero non è stato una sconfitta, ma forse l’inizio di un percorso che potrebbe riservare loro un futuro diverso da quello di passare da campo in campo, da baracca in baracca, da area dismessa in area dismessa. L’inizio di un percorso dove poter iscriversi a scuola e frequentarla regolarmente, giungendo più facilmente puliti. Infatti i loro genitori sono stati fra quei 234 che hanno accettato le proposte di accoglienza del Comune di Milano e si sono impegnati a cercare una via di autonomia, a mandare i figli a scuola, a cercare un lavoro. L’Amministrazione ha potuto dare una risposta positiva a tutti quelli che hanno accettato le proposte, tranne a chi aveva già avuto non più tardi di due anni fa soldi e accoglienza e ora pensava di ripresentarsi per un altro giro. Nessuna famiglia con minori che si è presentata ai due tavoli degli operatori e ha accettato di farsi identificare, è stata lasciata fuori. Negli otto mesi di sperimentazione delle linee guida Rom, Sinti e Caminanti di quest’amministrazione abbiamo potuto accogliere nei due centri di emergenza sociale 315 persone e di queste 130 oggi sono in appartamenti o strutture di seconda accoglienza, in percorso verso l’autonomia. Anche per loro gli sgomberi non sono stati una sconfitta ma l’inizio di un possibile futuro diverso.
Gli sgomberi sono stati probabilmente una sconfitta per le 78 persone che dai Centri di Emergenza Sociale sono usciti perché preferivano tornare a situazioni meno controllate e probabilmente abusive. Sono stati una sconfitta per le persone che in ciascuno dei 10 grandi sgomberi effettuati da questa amministrazione in un anno e mezzo (oltre ai circa 6-7 piccoli interventi realizzati mensilmente), hanno preferito non farsi trovare o rifiutare l’accoglienza. Sono come i 450 circa che non hanno accettato in via Brunetti e in via Montefeltro. Non so per quale motivo, forse perché per le loro attività avevano necessità di non avere quei controlli che ci sono nei Centri di Emergenza Sociale. Di certo purtroppo abbiamo potuto conoscere le numerose giovani ragazze provenienti da diversi insediamenti abusivi che sono state arrestate per scippo in metropolitana o in Galleria Vittorio Emanuele o nei negozi degli assi commerciali di Milano. Sono una parte dei quasi 100 arresti effettuati dalla Polizia Locale solo nel 2013, con l’unità reati predatori e altri agenti del Corpo della Polizia Locale di Milano. Forse se si fossero imbattute in sgomberi come quest’ultimo che avesse permesso loro di scegliere una strada diversa, forse avrebbero potuto iniziare a cambiare. Ma con l’Amministrazione precedente, allo sgombero non c’era l’offerta dei Centri di Emergenza Sociale: l’unica possibilità era la comunità con la sola mamma, senza il papà. Quello sgombero, sì che era una sconfitta, con violenza e forzature e senza vie di uscita. E allora tutti si sparpagliavano nel territorio, occupando altre aree o rioccupando le stesse zone a pochi giorni di distanza. Oggi non rioccupano più le stesse aree, e ad essere sparpagliati sul territorio sono è solo una parte: chi rifiuta. E forse, passando di rifiuto in rifiuto penserà di ritornare al suo Paese o penserà di provare a cambiare.
Lo sgombero non è una sconfitta per quelle persone che così hanno l’opportunità di uscire dalle realtà dei campi abusivi dove in genere ogni famiglia deve pagare una specie di affitto della baracca a chi governa il campo. Per queste persone vuol dire poter veramente cercare di uscire da una zona grigia di vicinanza con l’illegalità.
Lo sgombero penso non sia una sconfitta per quelle giovani donne incontrate ieri come in altre occasioni, di 15, 16, 17 o 18 anni, già in gravidanza, che magari nei Centri di Emergenza Sociale o nei percorsi di accompagnamento socio-abitativo potranno trovare operatori sociali che le aiutino a vivere la loro giovinezza in maniera diversa.
Certo sgomberare è sempre una cosa non piacevole, ma in alcuni casi interrompere un percorso troppo intriso di difficoltà e negatività serve per uscire da una situazione che chiude le possibilità. E comunque questi interventi di allontanamento non sono violenti, sono dei momenti di passaggio, dove ci si relaziona con gli operatori, dove si parla con le rappresentanze delle popolazioni o con le associazioni, dove non si fa guerriglia.
Certamente sarebbe stato utile intervenire prima, ma purtroppo la ricerca di un impegno concreto delle proprietà private e la realizzazione delle strutture di accoglienza ha richiesto tempo. Non si poteva fare l’intervento senza avere una reale e congrua possibilità di accoglienza come è stato per lunedì. Si pensi che la convenzione con la Prefettura che recupera le risorse non spese dalla precedente amministrazione si è potuta firmare solo il 22 marzo del 2013. Ora cercheremo di essere più veloci, ma abbiamo una situazione che si è incancrenita da tempo.
Tutto questo lo abbiamo potuto fare grazie alla collaborazione di diversi soggetti del terzo settore che in convenzione gestiscono i Centri di Emergenza Sociale, i Centri per l’Autonomia Abitativa e le unità abitative. Senza di loro questo piano non può stare in piedi. Un grazie anche a quei soggetti dell’associazionismo e del terzo settore e delle rappresentanze delle etnie che ci sollecitano e pongono anche proposte e idee differenti aprendo una giusta e plurale dialettica. Un grazie a quei Consigli di Zona che hanno sul loro territorio un Centro di Emergenza Sociale e hanno accettato la sfida, insieme con i loro cittadini.
Ma non può essere quella del rinvio e dell’accettazione delle favelas la risposta a tante famiglie rom e sinti che vivono nella nostra città, ai suoi margini. In questi giorni diverse associazioni ed enti mi hanno scritto e telefonato per chiedere di non sgomberare o di dare una alternativa a tutti. Per fortuna il lavoro di tutti ha permesso di dare una risposta a tutti quelli che erano disponibili.
Altri mi hanno scritto in questi giorni e settimane chiedendo di intervenire per mettere fine alla favelas e per interrompere alcune conseguenze quali reati, degrado, problematiche igienico-sanitarie. Ho cercato di spiegare loro come stavamo agendo e come ora stiamo cercando di impedire il riformarsi di altre favelas. Molti di questi hanno capito, hanno collaborato e ci hanno aiutato ad essere efficaci, anche nelle diversità di opinione. Altri pensano che l’unica strada sia togliere queste persone. Io penso che ciò non sia possibile, per le leggi della nostra Europa e del nostro Paese e per dare a tutti una possibilità: nelle regole e nell’equità senza privilegi per nessuno. Non è pensando che questi temi riguardino altri che saremo una città europea.
Noi ci stiamo provando, con fatica e con i nostri errori, quelli che capitano a chi si rimbocca le maniche e magari perfetto non è.
Grazie per chi vorrà collaborare, anche nel dibattito e nel confronto. Per chi invece vuole solo polemizzare non ho né tempo e né voglia.

Marco Granelli

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