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Inviato da avatar Giacomo Selmi il 03-09-2014 alle 17:08

Ancora sulle Zone, la Città Metropolitana e altre bagattelle:
LEGGE DELRIO: ZONE O COMUNI? SOLO ARCHITETTURA ISTITUZIONALE? | ArcipelagoMilano
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Su la Repubblica Milano del 23 luglio Giancarlo Consonni si spende in modo netto contro l’opzione, pur prevista dal decreto Delrio, di spezzettamento del Comune di Milano in 9 Zone. Poiché da queste pagine circa un mese fa avevo auspicato tale soluzione come gesto di vera e coraggiosa riforma, mi sento in qualche modo spinto a rispondere. Il punto di partenza potrebbe essere proprio la sensazione che le critiche di Consonni partano da alcune considerazioni a volte anche condivisibili ma che arrivino a conclusioni a oggi secondo me indimostrabili.
L’ipotesi di fondo è che le attuali Zone siano enti pletorici e distaccati dai cittadini, anche in senso identitario, in ogni caso inutili per il buon funzionamento dell’amministrazione milanese; anzi, a volte pure dannosi, sia a causa dei fondi che assorbirebbero per il loro funzionamento, sia a causa della scarsa qualità del personale politico.

Devo dire, da consigliere di Zona, che per certi aspetti non riesco a contraddire queste affermazioni; certo, non concordo con l’accusa di essere dannosi (e per il momento non commento sulla qualità del personale politico), ma sicuramente c’è del vero nell’accusa di essere enti pletorici. Una spiegazione però c’è, e non vuole assolutamente essere una scusa; è vero però che i consigli di Zona sono (legittimamente, per altro) schiacciati dal Consiglio Comunale e, soprattutto, dalla Giunta, che operano secondo il mandato elettorale ricevuto, e cioè amministrare la città.

Certo, ma anche i Consigli di Zona dovrebbero avere lo stesso mandato, mi si potrebbe obiettare; è ovvio però che in assenza di una chiara e ben definita autonomia amministrativa per le Zone, con chiare competenze e confini, la situazione corrente è inevitabile e il mandato dei CdZ diventa pressoché inutile. Ed è chiaro che senza una modifica all’assetto istituzionale (modifica che sarebbe anche stata in qualche modo iniziata), la situazione si continuerà a riproporre all’infinito, rendendo ovviamente e naturalmente pletorica l’azione o anche solo la riunione dei Consigli.

Le soluzioni, come ho già avuto modo di dire, possono essere due. La prima è quella più o meno caldeggiata da Consonni, e cioè l’eliminazione delle Zone. In linea di principio sarei anche d’accordo, ma perché la scelta abbia senso, le Zone devono essere cancellazione in toto, proprio per evitare il riproporsi di una situazione anche solo simile a quella attuale. L’alternativa prevede l’eliminazione del problema dando una precisa autonomia ai Consigli di Zona. Ma se togliamo una parte delle competenze al Comune per darlo alle Zone, e ne togliamo un’altra parte per darlo alla Città Metropolitana, cosa resta del Comune? Un ente pletorico come sono oggi le Zone! E allora tanto vale andare fino in fondo alla strada ed eliminare quello che diventerebbe null’altro che un livello intermedio, e cioè il Comune di Milano.

Per l’assetto che ne deriverebbe, vorrei fare riferimento esplicitamente all’organizzazione di Londra, dove una autorità metropolitana decide su linee di indirizzo strategico e per tutto ciò che è comune, mentre la gestione che afferisce più prettamente alle questioni territoriali è demandata ai Borough, quelli che a Milano sarebbero le Zone trasformate in Municipi, in più o meno totale autonomia; si può citare ad esempio la decisone del Borough di Islington, che ha per primo e unilateralmente trasformato l’intero suo territorio in Zona a 20 mph, la nostra Zona 30, scelta che ha degli effetti (positivi) sul territorio locale ma che non entra in conflitto con gli indirizzi dati dal Major.

In linea di principio è proprio questa autonomia amministrativa, dove le competenze sono ben definite e delineate, che permette una gestione più puntuale e più legata ai problemi reali del territorio, senza per questo scatenare eccessi di localismo o proliferazione di enti inutili.

Per quanto riguarda la questione identitaria, e cioè quanto un cittadino (di Milano) si possa sentire legato ad una Zona piuttosto che alla città, ho la sensazione che sia un problema molto meno sentito di quello che si pensi. Già oggi la percezione di “Milano” tra i cittadini abbraccia un’area molto più vasta della città in senso stretto; i cittadini dell’area metropolitana cioè, già oggi pensano a Milano in termini metropolitani. Se il problema è che Zona “x” è un nome poco affascinante, si possono sempre cambiare i nomi alle Zone ribattezzandole in modo da legarle maggiormente alla tradizione.

In ogni caso la definizione delle Zone sarebbe con funzione prevalentemente amministrativa, in modo da dare ai cittadini un gruppo di referenti e amministratori (effettivi) molto più vicini a loro e alle loro esigenze e problemi. E non sarà certo questo che farà perdere alla città (metropolitana) il focus su una strategia urbanistica o di sviluppo coerente con i propri territori: la direzione strategica resta (e deve restare!) ben salda in mando all’ente Città Metropolitana, che verrebbe però sgravato dalle incombenze più territoriali, demandate a enti realmente vicini ai territori.

Ovvio che non sto implicando che il Comune oggi non si occupi dei territori, ma è evidente che per quanto riguarda l’amministrazione “spicciola”, è ben diverso gestire una città di un milione e duecentomila abitanti e o una di centomila. Prova ne è che per un cittadino di, per dire, Cusano è molto più facile parlare con il suo Sindaco di uno specifico problema che non per un cittadino di Milano, che ha sicuramente maggiori difficoltà ad accedere al suo Sindaco e spesso non ha idea di chi sia (o di cosa faccia) il Presidente della sua Zona. Oltretutto un assetto simile porterebbe anche a un riequilibrio (anche di potere) tra i vari soggetti amministrativi presenti all’interno della Città Metropolitana.

L’ultima questione è infine quella legata al personale politico, tema per altro difficile da affrontare perché – essendo io consigliere di Zona – sono effettivamente in conflitto di interessi.

Nonostante questo, due pensieri vale la pena provare ad inanellarli. Innanzitutto l’errore per me non è ritenere che le Zone esprimano una politica scadente: in molti casi, ahimè, è proprio così; l’errore è invece ritenere che la situazione non possa cambiare, che sempre e indipendentemente dall’assetto istituzionale, le Zone possano solo esprimere una politica scadente; o addirittura pensare che una loro elevazione al rango di vera amministrazione a scapito del Comune sia causa, oggi e per sempre, esclusivamente di ulteriori costi.

La questione va invece, a mio avviso, capovolta: è vero infatti che la politica scadente è spesso solo il risultato dell’inefficacia dei provvedimenti che le Zone adottano, inefficacia che è causata dalla quasi irrilevanza delle Zone stesse dal punto di vista amministrativo. Conferire quindi alle Zone uno status amministrativo pieno, sostituendole al Comune, forzerebbe la costruzione di politiche più forti, perché queste verrebbero effettivamente testate sul territorio con effetti concreti: premiati (con la rielezione) se positivi o puniti se negativi; la conseguenza più o meno diretta sarebbe poi quella di consentire alla qualità di emergere.

Giacomo Selmi
Consigliere di Zona 1

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