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Inviato da avatar Riccardo De Benedetti il 26-02-2017 alle 13:15

Trovo anch’io sciocca la polemica sull’africanizzazione, cionondimeno negli assetti urbanistici di cui lei non si vuole occupare ma che sono la vera origine, esplicita o implicita, delle scelte in materia, le poste in gioco sono sempre di natura simbolica, altrimenti non avremmo la tradizione che abbiamo e nessuna civiltà costruirebbe qualcosa che cerca di sfidare i tempi e la storia.

Paradossalmente le insegne luminose del dopopguerra erano comprensibili proprio nella polarità, simbolica a cui nessuno si sottraeva, tra la cattedrale e i suoi significati e la spinta a una rinascita materiale doverosa dopo gli anni bui del fascismo e della guerra.

La voglia di verde e il bisogno di verde in uno straccetto residuale, che è lì solo perché non si è trovato nel tempo la voglia e l’intelligenza di terminare la piazza nel suo assetto definitivo così come l’aveva prospettata il Mengoni è una  motivazione che troverebbe miglior rappresentazione nella progettazione dei nuovi quartieri e nelle nuove aree, nonché la sistemazione dei mille e mille spazi urbani degradati a cui non si vuole o non si può porre mano. Iniziare dal Duomo, o far finta che da esso possa prendere slancio chissà quale interesse al verde è, a mio parere, pia illusione.

Non si è atteso tanto, perché la discussione si è interrotta, come ho scritto nel post che ha dato il via alla discussione, nel 1990, quando furono presentati progetti organici, e sottolineo organici non estemporanei, di sistemazione della piazza. Quanto ad aspettare lo sponsor non pensa che sia un interesse del tutto estraneo sia alla voglia di verde sia alla sistemazione della piazza quello che ha mosso Starbucks a presentare il progetto? Una metropoli seria e partecipe che programma il senso dei suoi spazi, perché questo è il compito di un’amministrazione, non si accontenta di incassare qualche denaro per permettere a un soggetto lontano dalla nostra cultura di riaffermare non l’africanizzazione di piazza Duomo, ma ancora peggio, l’idea che si possa bere un caffé a Milano così come lo si beve a Miami Beach a Katmandu o a Vancouver. Almeno è un’ideologia con cui non sono d’accordo: vorre provare la differenza tra i quattro caffé, ma appunto abolire le differenze è proprio quello che fanno i caffè di Starbrucks. Il che è la morte della nostra ricchezza culturale materiale.

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