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Inviato da avatar Eugenio Galli il 21-10-2017 alle 16:02

Sono decenni che discutiamo del catino padano e dell'emergenza ricorrente per l'inquinamento atmosferico.

Possiamo dire che, tecnicamente, non ha più senso chiamarla "EMERGENZA"? L'emergenza è la circostanza imprevista, l'accidente. Qui, cosa c'è di imprevisto e imprevedibile? In una situazione che, per giunta, è aggravata da un cambiamento climatico che ormai solo gli stolti possono negare.

Ricordo che con Dario Fo e Franca Rame e molti altri, cittadini, associazioni e comitati, avevamo costituito un "Comitato di Salute Pubblica". Era forse il 2004. Da pochi anni ero presidente dell'associazione Fiab Milano Ciclobby.

Con loro avevamo organizzato presidi e manifestazioni con migliaia di persone (a Milano era il tempo del sindaco Albertini, regnante Formigoni al palazzo della Regione).

Avevamo depositato un ricorso urgente - ex art. 700 c.p.c., insieme a molte decine di altre persone - contro Regione e Comune perché finalmente si imponessero, se non altro per via giudiziale, le misure che la politica non sembrava in grado di prendere o più precisamente non voleva prendere.
La magistratura, giustamente, si tirò fuori da questo compito di governo e disse che si tratta di misure che attengono alla discrezionalità amministrativa, limitando l'esercizio del potere giurisdizionale (cfr. Trib. Milano, Sez. I civ., Galli+177 vs. Comune di Milano + Regione Lombardia, Ord. 1 giugno 2006, Rel. Gandolfi).
Sono trascorsi anni e ancora si discute. E passiamo da un'emergenza all'altra (tutte ampiamente prevedibili e previste) con una politica che, quando va bene, procede in ordine sparso. Senza una strategia chiara e condivisa. Ognun per sé, con un atteggiamento irresponsabile. Vagheggiando soluzioni di lungo periodo (ma, diceva Keynes, "i tempi lunghi sono quelli in cui saremo morti").

Se l'inquinamento uccidesse istantaneamente, anziché nel lungo periodo; se le persone cadessero al suolo come mosche stecchite, anziché tossire o avere gli occhi arrossati e i polmoni irritati, probabilmente sentiremmo, almeno qui, almeno ora, questo problema come vicino e urgente. Un problema finalmente "nostro": mio, tuo. Che ci riguarda qui e ora e che non tocca ai nostri nipoti affrontare. Qualcosa di fronte a cui non si può continuare a fare finta di nulla. Si invocherebbero misure straordinarie. I commentatori la smetterebbero di gingillarsi con il pettegolezzo. Il sindaco si impegnerebbe mettendoci la faccia, anche per la città metropolitana che rappresenta, e anche scegliendo azioni impopolari.

Invece, l'inquinamento uccide lentamente, corrode più che colpire. E il contributo causale è dato da dosi ripetute di veleno. In pratica, la causa c'è, e si vede, ma opera in modo che ognuno possa dire: "non è colpa mia".

E allora andiamo avanti così! Nel nome di un progresso che poi tanto progresso non è.

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