Come cambiano le imprese a Milano? Negativo o positivo?

Leggo dall'articolo che i cali maggiori sono nella distribuzione abbigliamento, alimentari, edicole.

Direi che non c'è nulla di "inatteso": è normale che tanti negozi a Milano chiudano nel momento in cui non sono praticabili, visto che il centro è inaccessibile all'auto e l'auto è praticamente obbligatoria per fare la spesa.

Peraltro tutto il modello commerciale urbano si sta trasformando (anzi, si è ormai già trasformato): è la fine dei piccoli commercianti urbani, del mini-market, del grossista, del pescivendolo e del fruttivendolo. Resistono solo i pochi del centro sparato che si salvano da affitti impossibili perchè hanno locali di proprietà e che possono applicare prezzi incredibili (provate a comprare il pesce da Claudio o la frutta dal fruttivendolo.....) ma tutto sommato accettabili da chi si puo' permettere una casa in centro oggi.

In pratica a milano resistono solo i piccoli negozi "Premium", vale per l'alimentare, vale per l'abbigliamento.

Il futuro commerciale, per come è stato disegnato, si sposta sulle tangenziali e nell'hinterland, dove è un fiorire di centri commerciali, ovviamente a misura di automobile, che possono competere meglio in un mercato ove il marketing ma sopratuttto la pianificazione delle risorse (con i volumi che ne conseguono) sono sempre + strategici per mantenere prezzi bassi.

E questo fenomeno non puo' che ampliarsi: Milano diventa sempre + invivibile, anche a causa delle scelte scellerate della Giunta, che la relega a mega-parco giochi domenicale.

Le persone, le famiglie, si spostano sempre + nell'hinterland e li' vivono, spostando i consumi.

Il tema "Edicole" andrebbe approfondito, ma questo forse è legato alla digitalizzazione sempre + spinta delle testate giornalistiche che stanno affrontando un periodo di crisi senza eguali (RCS docet...)

Sarebbe da capire dove si collocano le nuove attività di "Scommesse" e "Massaggi Cinesi": non entrano in nessuna statistica, eppure Milano è stra-colma.. come mai?

"Mohamed"

Sono 1.595 i titolari di aziende cittadine con questo nome.

Hanno superato i 1.383 "Giuseppe", i 1.131 "Marco" e le 1.095 "Marie".

Il 12% delle imprese milanesi sono stranieri (con 74.000 addetti, pari al 4% degli occupati di Milano).

Qualche considerazione, in merito?

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_settembre_3/titolari-imprese-milanesi-nome-mohamed-piu-diffuso-giuseppe-2222892860643.shtml

Io non ho nulla contro i cinesi e contro gli immigrati in se però è veramente molto strano come dei poveri immigrati che ovviamente vengono in Italia per trovare una vita migliore, riescano a comperare negozi a prezzi veramente molto buoni e soprattutto, qualsiasi cosa aprano non falliscono mai.

Quando gli altri immigrati rimangono uomini delle pulizie, badanti o operari, i cinesi di Paolo Sarpi (il quartiere in cui vivo) possiedono negozi e girano con il BMW.

Hai ragione Marco Lombardi, quando la crisi avanza, le attività illegali fanno sempre più la differenza.

Uno sguardo al futuro

Continuano ad aprire esercizi commerciali al dettaglio (in sede fissa o ambulanti) e di effettuazione vari servizi, di extracomunitari.

Che prendono il posto di altrettanti (come numero), di italiani, che hanno chiuso.

Io, una volta, credevo si trattasse, "semplicemente", di un'azione orientata alla conquista di un mercato (come peraltro in buona parte è: per esempio i parrucchieri cinesi che ti fanno con 8 ciò che prima costava 19). Adesso invece credo si tratti di qualcosa di diverso: infatti, molto del loro mercato, è alimentato da loro stessi.

Quello che voglio dire è: non è che ci stiamo auto-marginalizzando? E, se ciò avvenisse, a quali conseguenze andremmo incontro?