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http://icebergfinanza.finanza.com/2013/09/17/euro-e-germania-un-canarino-nella-miniera/

Cresce euroscetticismo in Europa: in Italia ai massimi

Cresce l’euroscetticismo nell’eurocarcere continentale. In Spagna , il 37 per cento degli intervistati ha detto che l’adesione all’Unione europea è stata una brutta cosa , dal 26 per cento nel giugno 2012 , in aumento al 43 per cento in Francia (dal 38 per per cento ) , il 44 per cento in Germania ( dal 36 per cento ) e il 45 per cento in Italia ( dal 39 per cento ) .

E sono in continuo aumento quelli che vorrebbero un’uscita del loro paese dalla Ue. E’ evidente come la percentuale di quelli che ancora non riconoscono il danno della partecipazione alla Ue del loro paese, dipenda solo dall’ignoranza creata dai media di distrazione di massa.

Al di là di un entusiasmo ingiustificato per una vittoria della  che non c’è, solo quattro punti in più, tutti persi con il collasso degli alleati liberali della FDP usciti dal parlamento regionale, faccio notare il 9 % dei Freie Waehler (Liberi elettori), un movimento di matrice populista, regionalista ma soprattutto EUROSCETTICO!

La crisi economica ha inferto un duro colpo all’identità stessa dell’Unione Europea. Non direttamente responsabili, le istituzioni comunitarie e l'eurozona ne portano però l'immagine più negativa. Tra le conseguenze più rilevanti è certamente da annoverare la messa in dubbio dell'esistenza stessa dell'UE, sia da parte di alcuni governi, sia (e forse soprattutto) da parte dell'opinione pubblica. L'euroscetticismo, cioè l'avversione al processo di integrazione europea, ha finito per insediarsi stabilmente al centro del dibattito sul futuro, sulle scelte, sulle alternative dei partiti e dei cittadini d'Europa.

Negli anni successivi alla creazione delle istituzioni europee il sentimento euroscettico prevaleva solo alle estremità dello spettro politico. Era caratteristico della sinistra comunista, fedele a una visione di solidarietà internazionale e affratellata a Mosca, che considerava la CEE uno strumento per imporre il modello economico americano. La destra di matrice nazionalista, dal canto suo, criticava l'integrazione come fattore di disgregazione delle tradizioni nazionali: la Comunità superava infatti il concetto di stato coincidente con una comunità linguistica, culturale e spirituale, tipico di quella cultura politica. Inoltre, l'euroscetticismo fioriva in determinati territori, come il Regno Unito o la Svizzera, gelosi delle proprie particolarità storiche, ritenute irrinunciabili. Molti cittadini di quei paesi non erano disposti, fin dal principio, a condividere leggi, poteri, decisioni e destino politico con gli altri stati europei.

Nei paesi fondatori, l'euroscetticismo era dunque risultato di antiche e profonde divisioni politiche. Le comunità europee nascevano come antidoto al nazionalismo, che aveva prodotto le guerre mondiali, e nel tentativo di contrastare la forza sovietica nel contesto della guerra fredda; erano state ideate da uomini appartenenti alle famiglie politiche democristiane e socialdemocratiche. La frattura tra favorevoli e contrari non riguardava però il grosso di un'opinione pubblica sostanzialmente d'accordo o indifferente a un'integrazione che, all'epoca, mostrava i suoi effetti soprattutto nel campo del commercio estero.

Con il consolidamento dei processi di globalizzazione e di finanziarizzazione dell'economia (tra la fine degli anni Settanta e l'inizio dei Novanta) le fila degli scontenti cominciano a rimpolparsi, perché l'euroscetticismo si innesta su una divisione tra fautori ed oppositori delle nuove tendenze globali. Queste tendenze hanno provocato, nella parte della popolazione che sentiva di non riceverne i benefici, una doppia reazione. Da un lato, una critica di tipo nuovo al capitalismo, incarnata da partiti della sinistra alternativa come i Verdi: per tutti gli anni Ottanta, la maggior parte di queste formazioni, in specie nelle aree scandinave e mitteleuropee, resta fortemente critica con le istituzioni di Bruxelles, accusate di essere succubi o agenti di questo sistema economico. Al contrario, la sinistra comunista tende a integrarsi nei sistemi politici occidentali, trascinata dai successi dei partiti socialisti europeisti negli anni Ottanta.

La seconda reazione è una crescita delle tendenze localiste, come riflesso dei cambiamenti economico-sociali in corso, in particolare l'immigrazione e la deindustrializzazione. Tramontata la visione nazionalista classica, fiorisce al suo posto una serie di partiti a difesa di un'identità locale o nazionale che si percepisce come minacciata – esempi classici ne sono il Front National in Francia e la Lega Nord in Italia, quasi congenitamente assai critici verso le istituzioni europee. Le formazioni originate dai conflitti identitari ancora aperti – Fiandre, Catalogna, Alto Adige, ecc. - vedono invece positivamente un'Europa che si faceva garante dei diritti delle minoranze o delle regioni storiche. Il successo elettorale limitato e discontinuo delle forze localiste o della sinistra alternativa nasconde tuttavia la crescita del sentimento euroscettico nell'opinione pubblica europea.

È proprio l'accelerazione del processo di integrazione europea a determinare la prima vera grande rivelazione dell'euroscetticismo, tra gli anni Novanta e la prima metà dello scorso decennio. Se l'allargamento oltre cortina è accolto dalla perplessità dei settori sociali che già consideravano negativamente la globalizzazione, la stipula dei vari Trattati (da Maastricht nel 1992 a Lisbona nel 2007) vede il disaccordo di chi non vuole che lo stato rinunci alle sue prerogative classiche, soprattutto alla politica estera ma anche a quella economica.

Il sentimento euroscettico ancora non è radicato nei paesi dove l'integrazione è considerata la conclusione positiva di un processo di affrancamento da un passato politico da dimenticare – come nelle ex dittature mediterranee, in Germania e Austria, nei paesi ex comunisti dell'Europa centro-orientale. Altrove, specialmente dove c'è in ballo una particolare tradizione politica o elevati standard economico-sociali, viene pienamente espresso ed emerge nei referendum sulle tappe successive dell'integrazione. Dunque, al no danese a Maastricht (con il 50,7% dei voti contrari, rettificato l'anno dopo con il 56,7% dei voti favorevoli) si accompagna il poco convinto  francese (51% nel 1992), seguito dal rifiuto della Norvegia di entrare nell'UE e dal risicato  svedese (53% nel 1994). Anche l'introduzione dell'euro incontra il rifiuto di Svezia e Danimarca, mentre ben più carico di conseguenze è il no di Francia (55%) e Olanda (61%) alla "Costituzione europea" nel 2005, che impedisce ogni progresso ulteriore.

Questa paralisi avrà come effetto principale quello di diffondere ulteriormente l'euroscetticismo, soprattutto dopo lo scoppio della crisi economica internazionale. Una UE già poco legittimata si dimostra incapace di offrire una risposta adeguata alla congiuntura negativa. Le sue istituzioni,  come d'altronde quelle nazionali, vengono colpite da un'ondata di sfiducia generalizzata, che genera cambiamenti importanti in tutti i sistemi politici.

È a questo punto che il sentimento euroscettico, alimentato dalla diffidenza nella politica e dallo sconforto per le prospettive economiche, diventa maggioritario praticamente in tutta l'Unione. Non solo, come in passato, nel solco delle divisioni che caratterizzavano la politica europea, ma stavolta trasformandosi in causa diretta di nuove fratture, attorno alle quali si organizzano i nuovi partiti e si adeguano i vecchi.

Da una prospettiva economica, la frattura tra i centri decisionali europei (Bruxelles e Francoforte) e le capitali dei paesi membri ha dato vita a partiti come il tedesco Alternative für Deutschland, e soprattutto ha condizionato l'atteggiamento delle forze politiche classiche, tutte tendenzialmente più critiche nei confronti dell'Europa; in questo senso, la preminenza del Consiglio europeo tra gli organi dell'UE ha fatto sì che la critica agli impopolari governi in carica si intrecciasse facilmente con quella alle istituzioni europee.

Da un punto di vista politico, dato anche il declino della distinzione tra destra e sinistra, una frattura tra l'approccio tecnocratico (filoeuropeo e minoritario) e quello populista alla risoluzione dei problemi separa ora le forze politiche che nascono per contendersi l'elettorato in fuga dai partiti tradizionali. A seconda del grado di rigidità del sistema politico, nuovi partiti (come i Veri Finlandesi, il Partito Popolare fondato in Romania dal presentatore Dan Diaconescu, il Movimento 5 Stelle) oppure forze estremiste che ne adottano programmi e toni, contestano l'UE alla radice e spingono per un uscita del proprio paese.

La mancanza di uno spazio pubblico europeo di tipo realmente unitario e condiviso, in cui le questioni comuni possano essere affrontate nella loro giusta portata, ha paradossalmente amplificato tali fenomeni; l'incompiutezza dell'UE ha comportato la rinuncia a un certo grado di democrazia nelle scelte nazionali, senza però che a ciò corrispondesse un adeguato ritorno democratico a livello sovranazionale. Le elezioni europee del 2014, in cui si prevede un trionfo delle forze euroscettiche, potrebbero d'altra parte per la prima volta rappresentare l'occasione per un dibattito politico davvero continentale.

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