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Inviato da avatar Eugenio Galli il 10-10-2010 alle 12:58

“Riportiamo ossigeno a Milano”

Sintesi dell’intervento esposto nel corso dell’incontro con Stefano Boeri del 9 ottobre 2010

 

Nelle occasioni in cui mi sono trovato in viaggio all’estero, mi è capitato di notare, con una frequenza che non può essere casuale, la presenza di disabili che circolavano in piena autonomia nelle città. Mi viene spontaneo anche su questo fare il confronto con Milano, dove invece una persona con difficoltà di movimento, temporanee o permanenti, ma a volte persino una mamma con il passeggino, incontra ostacoli insormontabili. Credo sia giusto pensarci perché la cifra caratteristica delle città virtuose, a cui ci piacerebbe poter dare un contributo, è la vivibilità, la capacità di accogliere prestando attenzione ai bisogni delle persone.

Se dunque ragioniamo di bicicletta è perché essa costituisce un paradigma della mobilità sostenibile, che abbraccia molti temi rilevanti per la desiderabilità della vita in città: mobilità, ambiente, salute, urbanistica, tutela del paesaggio, efficienza energetica, eccetera.

La bici, come spesso ricordava Gigi Riccardi, fondatore e a lungo presidente di CICLOBBY, non è di destra né di sinistra: è un mezzo per muoversi. E, in questo senso, quel che diciamo qui vale chiunque sarà a governare Milano. Perché un’efficace politica della mobilità ciclistica distingue solo un buon sindaco da uno cattivo, non la sua colorazione politica.

Una delle prime domande consiste quindi nel chiedersi cosa si vuole che sia la bici: un accessorio, come si è ritenuto sin qui a Milano, o una risorsa strategica e una componente irrinunciabile della mobilità. Perché dalla visione accolta discendono una serie di conseguenze. Non ultima il fatto che, se la bici mantiene una funzione ancillare, se resta un nice-to-have, tutto ciò che la riguarda potrà sempre essere rinviato a tempi migliori, giacché si troverà facilmente qualcosa di più prioritario, urgente ed importante.

Rispetto ai temi che stiamo trattando, la bici è invece parte della soluzione, non del problema.

Le realtà che funzionano, dimostrano però che non basta la parola.

Il primo, indispensabile requisito, che condiziona tutto il resto, è la volontà politica.

Di questo dobbiamo tutti essere ben consapevoli, perché spesso ci sentiamo dire, a giustificazione della arretratezza e della lentezza con cui la ciclabilità procede da noi, che “manca la cultura”, che è un “problema tecnico”, che “non ci sono i soldi”, che altrove ci sono “abitudini differenti”, ma di stare tranquilli perché “in futuro” la situazione migliorerà. Queste parole tentano disperatamente di occultare la verità, cercando degli alibi. E la verità è che dietro queste parole si trincera esattamente la mancanza (o la debolezza) della volontà politica che dovrebbe supportare il cambiamento.

Una riprova molto tangibile di tutto ciò si rispecchia proprio nella ciclabilità milanese: quanto realizzato nell’arco di quasi trent’anni, spesso con opere a scomputo di oneri di urbanizzazione (e dunque al di fuori di una progettualità al servizio effettivo dell’utenza), manca di una regia pubblica e configura uno spezzatino spesso inutilizzabile, se non addirittura inutile.

Il secondo punto, che si lega immediatamente alla volontà, è la necessità di una visione. Occorre chiedersi: che tipo di città vogliamo? Una città per le auto o per le persone? Da questa impronta iniziale discendono per coerente conseguenza scelte che vanno in una direzione o nell’altra.

E poi occorre un metodo. Qui il processo conta più del singolo progetto. E’ necessario agevolare l’uso della bici. E bisogna prevederlo sin dall’inizio di ogni intervento.

Ci sono diversi esempi attuali, in cui si dimostra che questo metodo manca: il Tunnel di porta Nuova, recentemente inaugurato e vietato al transito delle bici (nessuna risposta è stata fornita alle richieste che abbiamo formalmente sottoposto agli uffici competenti); e corso Buenos Aires, oggetto di un intervento di riqualificazione che sta trascurando completamente la sua fruibilità ciclistica, e su cui Ciclobby ha lanciato una petizione.

Come è stato autorevolmente sostenuto (Enrique Peñalosa al Global Velo-City di Copenhagen) «è da pazzi continuare a fare le cose sempre nello stesso modo e attendersi risultati diversi».

Ancora, è necessaria l’azione, serve cioè un “doer”, un approccio pragmatico che sappia trovare le soluzioni ai problemi e non i problemi alle soluzioni. E bisogna che questa azione sia mossa da concretezza e dal senso dell’urgenza, perché non è possibile seguitare con annunci, attese e rinvii. La logica sottesa deve essere quella del miglioramento continuo.

Infine, bisogna stimolare e promuovere la partecipazione. Partecipazione dei cittadini, delle associazioni, degli utenti. Tuttavia, affinché il coinvolgimento sia reale, motivato e convinto, non solo non può essere limitato a una fase di consultazione pre-elettorale, ma occorre anche che non venga mai tradito.

La bruciante delusione cui siamo andati incontro con l’amministrazione Moratti nasce esattamente e proprio dal tradimento degli impegni assunti. Il sindaco ha ribadito infinite volte, sia in pubblico sia privatamente, che la mobilità ciclistica sarebbe stata una priorità del suo mandato. E noi ci troviamo qui oggi a contare le briciole, tenendo conto che, avvio del bike sharing (fase 1) a parte, per il resto non è accaduto sostanzialmente nulla.

Premesso tutto ciò, è sbagliato ostinarsi a ripetere che, per far circolare le bici, occorre costruire piste ciclabili. E’ un’equazione falsa, perché tutte le migliori esperienze insegnano che una buona ciclabilità deriva invece da un mix di ingredienti, dove nessuno è prevalente sugli altri per importanza.
Così, è necessario occuparsi della mobilità (moderazione del traffico; corsie e piste ciclabili – essendo le prime interventi di sola segnaletica, le seconde invece caratterizzate da una infrastrutturazione fisicamente separata; marciapiedi e sensi unici, segnaletica); della sosta (parcheggi e attrezzature); della intermodalità con il trasporto pubblico (che significa sia possibilità di utilizzo combinato della bici con i mezzi di trasporto collettivo, sia possibilità di interscambio tra bici e mezzi pubblici); della sicurezza (security e safety; manutenzione costante; campagne info-formative; educazione stradale e cultura della sicurezza; marchiatura antifurto); dei servizi (bike sharing, velostazioni, parcheggi custoditi, infopoint, cartografia, pubblicazioni, mobility management, etc.).

La bici, dunque, non si identifica con le sole piste ciclabili, ma investe uno spettro di interventi e competenze assai più ampio e variegato.

Rispetto a Milano, allora, il punto non può essere quello di avere 100, piuttosto che 150 km di piste ciclabili (o 300, come era nel Piano adottato dal Consiglio comunale nel 1980, e rimasto inattuato), quanto piuttosto quello di avere l’intera rete stradale (2500 km) accessibile e fruibile alla bici, per tutti, in condizioni di sicurezza. Utilizzando, volta a volta, in modo calibrato gli ingredienti sopra indicati.

L’obiettivo che Milano deve darsi è quello di una permeabilità diffusa alla mobilità ciclistica: la bici deve poter andare ovunque. La raggiungibilità di questo traguardo non richiede anni e decenni, né investimenti impossibili e risorse infinite. Ma dipende invece sicuramente dalla volontà di perseguirlo.

Veniamo infine ad alcune proposte concrete.

Per il breve termine (i cosiddetti primi cento giorni)

  1.  Adozione del provvedimento di moderazione del traffico “Strada 30 km/h” su tutti i controviali della città.
  2.  Utilizzo regolamentato dei marciapiedi. Inutile fomentare su questo tema divisioni e conflitti con un dibattito disinformato: si tratta di applicare regole e buon senso. Esiste addirittura una mozione del Consiglio comunale approvata all’unanimità il 17 settembre 2007, ma ovviamente rimasta lettera morta, che, riprendendo un lavoro di Ciclobby, individuava oltre 80 marciapiedi idonei (larghi, poco frequentati, con scarsi accessi pedonali) dove sarebbe possibile, con poca spesa, dare applicazione all’art. 39 del CdS e Regolamento del CdS art. 122, 9c, ("pista ciclabile contigua al marciapiede e percorso pedonale e ciclabile"). Basta decidersi concretizzare, passando dalle parole ai fatti.
  3.  Installazione diffusa di attrezzature idonee per la sosta delle bici, a partire dai principali attrattori (scuole, ospedali, uffici pubblici, stazioni ferroviarie, etc.).


Per il lungo termine (estensione all’intera durata del mandato amministrativo).

  1.  Adozione e realizzazione del Piano della Mobilità Ciclistica (Bike Master Plan), che incarna insieme la volontà e la visione dell’Amministrazione sui temi della ciclabilità.
  2.  Rimozione dei binari dismessi: nelle strade milanesi giacciono oltre 20 km di binari, a volte brevi monconi a volte interi tracciati, non più in uso che creano disagio e sono pericolosi per tutti, ma in special modo per la circolazione delle due ruote. Occorre pianificarne la rimozione, senza attendere che si consumino da soli…
  3. E’ necessario dare veste compiuta al servizio di bike sharing, completando la dimensione del progetto affinché esso possa effettivamente svolgere il ruolo che gli è assegnato, come trasporto pubblico alternativo per le distanze brevi e quindi per la gestione flessibile della domanda di mobilità.


Fra le buone pratiche, citiamo il caso di Strasburgo, oggetto di un viaggio-studio FIAB nel 2008 e su cui è disponibile una analitica relazione, e quello di Monaco, direttamente confrontabile per la forma urbis con Milano. Ma si potrebbero anche segnalare alcuni casi italiani (Bolzano, Mestre, Reggio Emilia, per citare i principali).

Quanto alle risorse, chiarito che la bici non richiede risorse colossali, perché a volte bastano delle strisce di vernice per realizzare quel che serve, e che spesso si tratta di investimenti che giovano comunque alla mobilità generale (es. moderazione del traffico), dove i benefici superano i costi, evidenziamo tre fonti:

  • La legge (Codice della strada) prevede un obbligo di destinare una quota non inferiore al 10% dei proventi delle contravvenzioni al codice della strada ad interventi per la sicurezza stradale “in particolare a tutela degli utenti deboli: pedoni, ciclisti, bambini, anziani, disabili”.
  • Partecipazione a bandi (regionali, nazionali, europei) per il finanziamento di progetti
  • Applicazione trasparente del finanziamento “di scopo” ottenuto attraverso una congestion charge ben fatta.

Un motto potrebbe essere: “Le città virtuose si muovono bene”.

Eugenio Galli

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