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Inviato da avatar Lorenzo Pozzati il 10-12-2013 alle 09:14

Sono d'accordo con Eugenio Finardi: «I grattacieli non servono, bastavano la Torre Velasca e il Pirellone: tolgono aria e colore alle strade, non si doveva crescere in altezza scimmiottando Manhattan, ma riqualificare con fantasia le periferie, come hanno fatto Berlino e Torino».

Stiamo andando nella direzione contraria alla città che dovremmo essere.

In nome di un'Expò 2015 che se (come è probabile che sia) non cambierà la Storia, avrà cambiato (irreversibilmente in peggio) la nostra vita.

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_dicembre_09/eugenio-finardi-nuovi-grattacieli-non-servono-tolgono-aria-colore-1dc1d450-60b6-11e3-afd4-40bf4f69b5f9.shtml

Le chitarre da Prina, l’aperitivo di Cucchi, in bicicletta al parco di Trenno

Eugenio Finardi: «I nuovi grattacieli non servono, tolgono aria e colore»

Il battesimo nel ‘75 al palalido come spalla di De André. Alla Scala il punto più alto della carriera

Con il cane Sissi che gli scodinzola fra le gambe, Eugenio Finardi arpeggia un’abbagliante chitarra vintage di alluminio comprata nel Village di New York. I tempi cambiano e l’accordatore è un’applicazione dell’iPhone. «Di chitarre ne ho 30, con grande gioia di mia moglie, le tengo tutte a casa», racconta lui, bluesman meneghino, mamma americana, padre ex commissario della Fiera Campionaria. Finardi è cresciuto lì, all’ombra delle antenne Rai: «Sono stato concepito in via Massena, dove oggi c’è Radio Deejay. Con Alberto Camerini, mio migliore amico dei tempi, e altri eravamo i Corso Sempione Blues».

Grazie al lavoro del padre arrivano i biglietti per partecipare alla Campionaria, ma soprattutto il modo per guadagnare i primi soldi. «Essendo bilingue facevo da guida agli stranieri». Ricordi, sempre conditi da un velo di nostalgia. «Provo una grande tristezza a pensare come è cambiata questa zona: la nuova fiera sembra la Concordia spiaggiata. Era un quartiere parigino, con la prospettiva napoleonica da piazza Giulio Cesare». Milano aveva un’altra luce? «I grattacieli non servono, bastavano la Torre Velasca e il Pirellone: tolgono aria e colore alle strade, non si doveva crescere in altezza scimmiottando Manhattan, ma riqualificare con fantasia le periferie, come hanno fatto Berlino e Torino».

Così, se ripensa a quell’anima francese, Finardi si intristisce: «Dai tempi della Milano da bere non esco più volentieri a cena. Vado alla Salumeria della Musica, alla Santeria o al Magnolia: ho partecipato anche al crowdfunding per ristrutturarlo». Finardi ricorda gli anni d’oro, ai piedi del palco dei Rolling Stones nel 1966 al Palalido, poi i Police, Prince al Forum. I suoi primi concerti improvvisati nel salotto di un amico in piazza Amendola, le lezioni di piano in via Paolo Sarpi, le chiacchiere con gli amici sui gradini del liceo Beccaria, il bar Nievo. «A casa di un amico ricco che abitava lì sopra ho scoperto Jimi Hendrix e i Led Zeppelin». Poi i concerti veri, con il pubblico davanti: «Ricordo il mio battesimo nel ‘75 aprendo al Palalido per Fabrizio De Andrè durante la sua prima tournée nei palazzetti. Il più bello fu al Teatro Smeraldo nel ‘92, con Demo Morselli alla tromba e Vittorio Cosma alle tastiere».

Finardi passeggia. Si ferma davanti a Prina, storico negozio di strumenti musicali appena prima delle Colonne di San Lorenzo, dove per tutti è sempre e solo «Euge». «Ci venivo che ero bambino, nel ‘65, era il negozio dei sogni, stavo ore incollato alla vetrina: guardare e poi toccare gli strumenti, sognavo e basta». Ogni volta che entra fa la spesa. Un’abbuffata di plettri, che mette al sicuro nel portafoglio tra carta di credito e quella sanitaria. «Sono speciali, da mandolino napoletano, anche Bennato ci viene apposta». Poi la tappa da Cucchi: «Mi alzo tardi, qui vengo per l’aperitivo, bevo la cosa più leggera possibile».

La sua giornata gira intorno alla musica. «In salotto, sono tornato al lato acustico dopo essere stato tra i primi a usare il computer». La nuova dimensione l’ha trovata a San Siro, dove abita e si muove in bici fino al parco di Trenno o delle Cave. Dalle finestre vede verde, lo stadio è oscurato dalle piante. A gennaio, uscirà «Fibrillante» un disco di inediti dopo 15 anni d’attesa. La musica lo tiene ancorato alla città. Il ricordo tatuato sul cuore (e sullo schermo del telefonino) del concerto di due anni fa alla Scala («Il momento più alto della mia carriera»). La figlia che oggi studia violino al Conservatorio. «Ho sempre sognato di abitare a Villa Necchi. Non ho mai capito se sono italiano o americano, sicuramente sono milanese».

09 dicembre 2013

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