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Inviato da avatar Philip Grew il 24-04-2019 alle 12:32

«Sembrerà strano ma non è detto che in un’epoca come la nostra, di avanzata tecnologia si debba necessariamente (e automaticamente) pensare.»
-- Giuseppe Polistena, Diacronia, 2016

Da un po’ di tempo speravo di trovare spazio all’Episcopio per parlare di una mia teoria sui tre ambienti. Ho iniziato a preparare un post per dirvi di questa teoria ma naturalmente l'esposizione diventa lunga se racconto le cose per bene o cerco di spiegare il mio o il nostro rapporto con il terzo ambiente. Ne tralascio l’analisi perché urge una sintesi: dovete aiutarmi a necessariamente pensare queste cose.

Diventa urgente perché finalmente tutti iniziano a parlare dell’ambiente. Per “ambiente” intendono la biosfera e ne parlano perché il collasso del clima comincia a soffocare l’ambiente umano. L’ambiente umano si basa sulla prepotenza ed è questa prepotenza che ha determinato la catastrofe ecologica. La società umana non vede più la propria casa, oikos, dentro la natura. Ha perso da tempo lo sguardo ecologico e si è trasferita in un’altra casa, il built environment o mondo antropizzato. Non fidandosi della bellezza poetica della natura, il logos, la popolazione l’abbandona.

Quel logos era difficile da comprendere, una meraviglia. Non se ne vedevano le ragioni. Oppure le ragioni erano quelle che Blaise Pascal definisce le ragioni del cuore che la ragione non intende. O forse, ascoltando l’altra playlist, era quella logica patogena che Vasco Rossi designa «la tua logica di calze nere».

Abbandonando in Nasso il logos isolato (seppure tenendosi la matassa), l’umanità cerca di mettere ordine in casa con un suo costrutto consapevole, il nomos, quel grande groviglio paracosmico delle regolamentazioni. “Diamo in mano,” si diceva all’unisono, “la barra del timone all’economia.” Allora in questo oikos, il nostro secondo habitat, i muri ben dritti contenevano la buona regola sociale. Il nomos vigeva nel brolo (un broletto grande) dove i pastori portano le pecore a brucare felicità e pagano nomismata ai lupi (che ingrassano mangiando pizza col pizzo). L’economia governa la cosa posseduta in comune.

L’ambiente costruito acquistava sempre territorio a discapito dell’ambiente naturale. Mezzo secolo fa, circa, per tenere in ordine senza usare la testa si usava l’ordinatore (o a rigore “ordinateur” ma il termine… L’hai sentita quella sulla madre di Zidane?). Si passa allora, colpo di testa, al calcolatore. Neanche questo nome piace, forse perché ricorda la calcolatrice, che era un’altra cosa, nonché l’antagonista della succitata canzone di Vasco.

Fatto sta che l’informatica avanza e tutto il lavoro passa al controllo numerico. Il carico computazionale pesa ma a fine settimana tutta la gregge a brolo balla. L’umanità scrive migliaia poi milioni poi miliardi di righe di codice. Si gettano reti poi reti di reti. Si pescano dati e metadati in quantità ingenti: chili poi mega poi giga poi tera. Era come una grande festa dell’informazione. Tutto diventava digitale. I mastri masterizzavano vecchi episodi di Star Trek e, con le reti a bordo, siamo tutti partiti alla scoperta del ciberspazio. Non serviva biglietto. Davi i dati e i dati venivano dati per scontati. “Il prodotto sei tu e non ci pensi più.”

Ma la festa è finita, rega, scusate, e qui ci troviamo in un nuovo ambiente operativo. Per trent’anni abbiamo ignorato il primo ambiente. Viviamo solo nell’ambiente costruito. Ma abitiamo il terzo ambiente. Il codice che conta non è più il codice comunicativo della natura umana. Ma non è il civil codice dei tempi dell’animale politico, i nomoi, o della polis industriale. In questo nuovo ambiente che determinerà le sorti degli altri due, il codice che macina i nostri dati comportamentali è diventato nocchiere, il ciberneta che governa. Il nuovo ambiente, pur essendo frutto del comportamento umano, non è un costrutto consapevole.

Ed ecco la cosa urgente da fare: diventar consapevoli di questa nostra condizione sociale. Ci sarà un duro lavoro da fare. Finché ci è dato di pensare dobbiamo pensare in fretta. Bisogna capire che la frase di Pino implica che abbiamo ancora la scelta di non pensare. Dobbiamo capire che, se operiamo quella scelta, non ci sarà più dato di pensare. Pensare potrebbe diventare appannaggio della tecnologia. I nostri dati e metadati potrebbero venire automaticamente pensati per noi. Dobbiamo scegliere in fretta di non evitare di pensare, invece.

Una delle prime cose che dobbiamo fare per capire il terzo ambiente è di analizzare la teoria che una studiosa americana ha elaborato sul surveillance capitalism. Questo nuovo sintagma birematico inglese non è stato ancora ufficialmente tradotto in italiano (che io sappia) ma una giusta traduzione potrebbe essere l’economia di monitoraggio.

La teorica che ci spiega l’economia di monitoraggio si chiama Shosana Zuboff e allego un video che esordisce con Christopher Lydon, un pioniere dei podcast, che definisce il libro di Zuboff quello che ci mancava. Il titolo del libro è The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power.

Zuboff spiega come da diciott’anni noi non siamo più il prodotto bensì la materia prima, il carburante della nuova economia. Nel libro elabora una teoria che prevede la perdita della nostra capacità di decidere autonomamente. Nella sua visione piuttosto ottimista ci troviamo a un bivio. Possiamo ancora riprenderci il nostro futuro. Dipende dalla nostra scelta di condividere una nuova comprensione della tecnologia.

Quel che mi è chiaro è che dobbiamo popolare di nuova consapevolezza il terzo ambiente che condiziona la rotta della barca societaria. Solo così possiamo sperare di dare al secondo ambiente una forma più intelligente. Solo così si cede territorio al primo ambiente in modo tale da ricavarne lo spazio per evitare l’estinzione della nostra specie. La rivoluzionaria teoria di Zuboff (insieme ad altre analisi simili, seppur meno complete, degli ultimi quattro anni) mi sembra un ottimo punto di partenza se vogliamo intraprendere questo lavoro.

Come dice Bill McKibben, solo cambiando lo Zeitgeist possiamo sperare in un progresso del nomos, della legislazione. Oggi lo Zeitgeist abita nel terzo ambiente. Iniziamo a pensare. Abbiamo la matassa in mano.

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