Rispondi a:

Inviato da avatar Giuseppe Maria Greco il 27-03-2020 alle 21:53

Milano dopo. Dopo cosa? La parola "dopo", in questo contesto, va compresa. In genere significa "quando la cosa cui mi riferisco sarà conclusa, allora..." Il dopo implica quindi un passaggio, anzi un superamento, un lasciarsi dietro le spalle qualcosa di compiuto. E' chiaro che, in ambito coronavirus, la parola dopo, da termine definito con precisione, diventa invece sfumata. Non solo perchè, al termine dell'urgenza, non è ancora detto che avremo il governo dell'epidemia. Ma anche perchè, per quanto concerne i rapporti sociali, la vita personale e collettiva, la coesione interna e la socialità generale, potremo veramente parlare di un dopo. Ma, soprattutto, di quale dopo?

Nulla ci dice che l'ombra del mutamento momentaneo della convivenza - ad esempio dell'accorgersi dell'esistenza degli altri dopo anni di gioioso individualismo - si estenderà ben oltre il respiro di sollievo per lo scampato pericolo, per chi sarà sopravvissuto. 

In fondo, noi cittadini oggi siamo chiamati ad eseguire delle prescrizioni, magari anche perchè le riteniamo corrette, ma non abbiamo nessun ruolo riconosciuto a priori. Solo a posteriori, quando la parte di noi che si mantiene indisciplinata ed egoista si consolida come propagatrice del male, siamo chiamati ad una chiara solidarietà collettiva per quel "bene comune" che invece la politica, quella dei rappresentanti ideali dei cittadini, non ha mai chiarito, tanto che ancora in questi giorni lotta per la propria egoistica visibilità alla faccia del bene comune.

Quando giungerà il dopo, con il termine dell'urgenza clinica decadrà anche il nostro contributo all'esaurimento della forza omicida del virus. Cosa significherà allora, per noi, il dopo? 

Che riprenderemo a non accorgerci del nostro vicino di casa in difficoltà, salvo non essere le brave persone aggregate a un'associazione benefica?

Che continueremo a pagare i conti dei nostri figli precari nella speranza di chiudere gli occhi vedendoli assunti a tempo indeterminato?

Forse non ci accorgiamo che, mentre noi pensiamo al dopo come ad un'isola lontana verso cui dirigiamo speranzosi il nostro canotto, c'è chi già - adesso, anzi ieri - ci specula.

Cosa significa questa enfasi sul "lavoro agile" che "consente ai padri di dare il biberon ai propri figli, alle madri di sospendere il lavoro per raccogliere il ciuccio del fantolino"?

Come mai oggi, quando è giustamente impedito l'accesso alle scuole, sono celebrati, senza considerazioni sul loro lavoro e sui loro diritti, gli insegnanti che mantengono il rapporto online con i propri alunni?

Come cambieranno, dopo, questi rapporti di lavoro e la loro sostanza, visti i vantaggi che comporterebbero "per noi", nel caso si verificasse una nuova urgenza?

Sarà opportuno che noi si rifletta, anche alla luce dell'importanza crescente delle reti oggi gestite da privati monopolistici, sul nostro "dopo".

Coraggio, dite la vostra.

Giuseppe Maria Greco

Accedi

Devi inserire Nome utente e Password per inviare un messaggio. Se non li hai prosegui inserendo il contenuto della risposta e i dati personali (nome, cognome e email) oppure Registrati

L'accesso a questo sito è possibile anche per gli Aderenti alla Rete Civica di Milano selezionando nel menu a tendina la voce "Aderente della Rete Civica di Milano".

Contenuto della risposta