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Inviato da avatar Nadia Ferrari il 06-12-2022 alle 20:52

Pensare la scuola e dibattere dai diversi punti di vista, dai diversi luoghi e ruoli da cui si proviene, mi pare un'occasione da non perdere e spero che in tanti raccolgano. Solo sguardi e significati molteplici potranno rendere la ricchezza e l'identità di ciò di cui andiamo parlando. La scuola è un oggetto oscuro che ha bisogno della parola di tutti per poterne apprendere  in parte la complessità. La scuola è di tutti! La scuola pubblica lo è per Costituzione ma anche semplicemente perché tutti noi sicuramente possiamo pensare la scuola a partire dall'esperienza comune di studenti (presenti, passati o futuri). 

Io però quando penso alla scuola non posso fare a meno di pensarla da docente e di pensare  principalmente alla scuola dell'infanzia: luogo in cui ho avuto l'onere e l'onore di permanere per oltre 42 anni. Anzi se aggiungo ai 42 anni di docenza i 17 trascorsi da alunna praticamente sono sempre vissuta nella scuola. Ecco perché, senza nascondere le criticità, amo sconsideratamente tutto ciò che appartiene alla scuola contraddizioni comprese, perché la scuola è uno dei beni comuni.

Riallacciandomi al discorso di Attilio Paparazzo e cioè al compito più alto che la Repubblica democratica delega alla scuola devo dire che nella mia esperienza ho sempre ravvisato le tracce di quel mandato soprattutto nella parola "accoglienza". Un accoglienza intendo proprio materiale. 

Nella stragrande maggioranza delle scuole dell'infanzia a differenza spesso e purtroppo nei gradi più alti, le pratiche di accoglienza sono visibili nelle prassi più semplici e quotidiane: l'attenzione, l'ascolto, il rispetto dei tempi di apprendimento e degli interessi, la non "uniformità/stereotipia" dei processi.

Prendiamo ad esempio gli spazi. Sono gli spazi che fanno un po' da cartina di tornasole tra quello che si dice e quello che si fa. Uno spazio che accoglie è qualcosa ricco di senso ma anche di "bello". Il valore dello spazio, e di uno spazio che accoglie, è un presupposto pedagogico irrinunciabile. Viene definito dalle nuove indicazioni pedagogiche come il "terzo" educatore.

Chiedo e mi chiedo come sono strutturate invece le nostre aule scolastiche? E ancora peggio quale cura vi è da parte dell'amministrazione per gli spazi delle scuole? Abbiamo edifici scolastici decadenti, obsoleti ed anche pericolanti e pericolosi. Difficile credo insegnare ad amare un luogo in cui lo spazio richiama abbandono, trascuratezza, pericolo, morte... 

Esco da un sopralluogo in una scuola superiore di Milano, un istituto storico. Un istituto in cui l'architettura antica trasudava di storia, di vita, che invece la trascuratezza di pareti da imbiancare, di vecchi e polverosi armadi da ufficio abbandonati qua e là, di cose al casi... non rendevano giustizia. Le aule grigie e spoglie avevano la stessa disposizione di quelle "ottocentesche" di quando a scuola ci andavo io, più o meno 50 anni or sono. Non c'era calore. Non c'era colore. Peccato. 
In questo stesso istituto c'è ancora oggi il corso serale e mi ha fatto tenerezza la domanda di un compagno del mio gruppo che di fronte alla notizia che il bar interno alla scuola aveva chiuso ormai da tempo, dice: "e dove vanno a mangiare qualcosa gli studenti e le studentesse del serale?" 

Ecco, forse pensare alla scuola significa pensarla nella quotidianità e nei sacrifici di ciò che chiede e domandarsi sempre se davvero sono pari le opportunità. 

Forse dobbiamo ritrovare il coraggio di pretendere da tutti, dall'Amministrazione pubblica in primis, e poi da docenti, genitori, studenti, politici e sindacati, che LA CURA sia il primo pensiero di una scuola che risponde al mandato costituzionale.

La cura intesa nel senso più ampio possibile: dai saperi al panino che farà da cena per chi studia dopo una giornata di lavoro. "I care" il motto di Don Milani, ancora così attuale, che ci insegnava come della scuola tutto ci deve interessare, tutto ci deve stare a cuore, interrogandoci continuamente su come ognuno può fare la sua parte. 

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