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Inviato da avatar Chicca Belloni il 27-10-2011 alle 12:01

Ecco il mio racconto personale della due giorni. Una cronaca per chi non c'era e qualche riflessione finale

Ho partecipato al maggio milanese: la mia campagna elettorale, emozionante e gratificante (dopo tanti anni!), è avvenuta all'interno dei comitati x pisapia, anima del popolo arancione che ha riempito le piazze. Raggiunto l’obiettivo sono rimasta un po’ a guardare. ma gli amici dei comitati mi hanno pressato, non potevo mancare al momento fondativo di questa realtà che "vuole riempire i vuoti lasciati dai partiti, senza sostituirsi ad essi". E quindi eccomi qui, alla "Due giorni X Milano: riflessioni e confronti per una città partecipata".

Riflessioni e confronti hanno un prezzo, che suppongo copra i costi organizzativi: 20 euro in cambio di un week end di riunioni plenarie e partecipazione a piccoli gruppi di lavoro; conferenze sulla democrazia partecipativa, interventi dei rappresentanti della giunta. Sono compresi un buono per un pasto (biologico) e shopper in tessuto con spillina e bloc notes super artigianale.

Il numero di iscritti sorprende gli organizzatori: si aspettavano 300 persone, ne arrivano oltre 550. E' sabato e la sala della provincia, a Milano in via Corridoni, è quasi piena: le donne sono in maggioranza. L'età media è decisamente alta: gli i ragazzi sotto i 30 anni si contano sulle dita (ma la campagna elettorale non aveva avvicinato i giovani alla politica?) e scarseggiano pure gli under 40. (“Se non esistessero le tinte per capelli”, dice Anna, “l'onda arancione sarebbe grigia...”) Quanto al ritratto socio-culturale, è quello del “popolo della sinistra” di oggi: livello di scolarizzazione medio-alto, nessuna difficoltà  (per ora) ad arrivare a fine mese. Diversi pensionati, qualche radical chic (“ah vieni dalla zona 9? viale zara, e dov'è?”). Operai, casalinghe, artigiani, disoccupati, a occhio, non ce ne sono. Nessuno straniero.

Il primo intervento è di Giuliano (qui non si chiama Pisapia, solo Giuliano). “vedervi mi ha fatto ritornare il sorriso”, dice. Traccia il bilancio dei primi mesi: “Ci siamo aperti alla città, non siamo stati chiusi nel palazzo. Abbiamo fatto scelte impopolari (leggi: rincari ATM) ma cercando di applicare la massima equità (abbonamenti gratuiti agli over 65, biglietti gratis ai disoccupati e ai cassintegrati, agevolazioni per chi ha 4 figli), premiato la competenza nelle partecipate; nei prossimi giorni annunceremo interventi sulle case popolari”. E conclude: “Non lasciatemi solo: ho bisogno di voi. Milano deve diventare un modello per tutta l'Italia”. Applausi.

Si prosegue con due conferenze. Rodolfo Lewanski, della Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bologna, parla di Partecipazione dialogica-deliberativa. “Esercitare il diritto di voto non basta, la democrazia deve saper reinventare nuove forme di partecipazione, portando i cittadini nella stanza dei bottoni”, dice citando l'esperimento che sta conducendo per la Regione Toscana. Sara Saravalle, esperta di gestione delle politiche per lo sviluppo locale, racconta l'esperienza di Roma, quartiere Testaccio, dove è stata ridisegnata una piazza solo dopo aver ascoltato e accolto, almeno in parte, le esigenze dei cittadini (che, detto per inciso, volevano costruire un muro “per evitare che la gente bivaccasse: ma anche il dissenso e il conflitto sono valori...)

Parte la discussione. Non l'Assemblea leninista “dove solo pochi riescono a esprimersi”, ma nove gruppi condotti da facilitatori (tutte donne, un solo maschio) che, per la cronaca, lavorano gratis. Il compitino da svolgere è: completa la frase: Milano nel 2016 sarà una città partecipata se... Si risponde a turno: nel mio gruppo siamo una cinquantina, tocca alzarsi per enunciare il proprio intento (“qui un timido soccombe”, dice Sandra). Le risposte sono diverse: c'è chi auspica un maggior dialogo tra centro e periferia, tra giunta e cittadini; si parla di vivibilità, di attenzione ai più deboli o coinvolgimento della gente generalmente passiva. Al termine, emergono le parole chiave: comunicazione, dissenso, mediazione, condivisione, inclusione, differenza (intesa come risorsa).

Dopo pranzo, è la volta di due esperti: Antonella Galletta, psicologa sociale e delle organizzazioni, e Luca Solari, docente di organizzazione aziendale all'Università Statale di Milano. Spiegano come lavorare per progetti, parlano di metodo, di creatività distintiva. Lezioni da vera e propria formazione aziendale.

Torniamo a lavorare in gruppi. Non è facile, il tempo è poco per eseguire il nuovo compito (descrivere “buone pratiche di inclusione” evidenziandone i pro e i contro); non tutti riescono a esprimersi, ma tant'è (c'è anche qualche “scazzo” sul metodo di discussione).

L'ultimo intervento della giornata è di Chiara Bisconti, giovane assessora al benessere. Che di fronte all'estrema complessità della città, per “aggirare il rischio di realizzare progetti troppo piccoli o troppo grandi per essere notati” fa riferimento a quei sistemi complessi che sono le multinazionali e ai loro modelli organizzativi (cita Nestlé, ma nessuno fa obiezioni) adottabili anche dai Comitati: chiarire la propria mission, attivare la comunicazione centro-periferia, lavorare con creatività, scardinare i ruoli. La filosofia delle multinazionali per una Milano felice: interessante e inaspettata proposta che conclude la giornata.

La sessione domenicale si riapre alla Camera del Lavoro su un punto nevralgico: la partecipazione vista dai giovani, con Marco Boffi, psicologo sociale, e Alessandro Generali, Movimento Milano Civica. Ci sono ragazzi disposti a partecipare, ci dicono. Sarà, ma qui non li vediamo.

Il city manager Davide Corritore, che segue, è la sorpresa della due giorni. Si era preparato una presentazione piena di numeri, di conti: parte invece a ruota libera, senza slide, da  quell'arcobaleno in piazza Duomo alla vigilia della vittoria di Giuliano. Parla con passione di equità (servizi a chi ne ha veramente diritto – equometro al posto delle autocertificazioni Isee), di wifi, di patto con le banche  (100 milioni di commissioni sui derivati da restituire alla città)…  Standing ovation e il corpulento Paolo Limonta, anima dei comitati, che lo abbraccia a lungo.

Arrivano i “nostri” giornalisti. Piero Colaprico racconta gli umori metropolitani leggendo le lettere che riceve; Gad Lerner fa un’analisi più politica sulle alleanze: prima si vince a sinistra poi si include il centro (vedi Tabacci). La platea già calda si scalda ancor di più in vista del gran finale della mattinata, il confronto con la giunta.

Tocca agli assessori, tutti schierati sul palco, indicare i tre obiettivi da realizzare entro l'anno. Esordisce Bruno Tabacci: il suo sogno deve fare i conti con il bilancio. Fa il punto, cita Cesare Correnti e scatena l'applauso. Seguono gli altri: qualcuno si dilunga un po' troppo (Franco D'Alfonso, delega al commercio, e Cristina Tajani, lavoro, non si fermano, la platea rumoreggia); più sintetici ed efficaci l'assessore alla cultura Stefano Boeri e Lucia De Cesaris, urbanistica. Molto concreta Chiara Bisconti (che a un certo punto si prende sulle ginocchia la figlia): è tra i più applauditi, insieme a Tabacci e a Pierfrancesco Majorino. L'assessore al Welfare parla di inclusione, di disarmo e conclude affermando che “arancione è identità politica: bisognerebbe costituire un gruppo unico in consiglio comunale”. A pensarci bene, è uno spunto interessante, ma cade un po' nel vuoto. Anche perché, a differenza della giunta, il consiglio comunale è assente (vedo solo Carlo Monguzzi e Mirko Mazzali).

Consumiamo il pranzo: tre torte salate e un muffin con acqua del sindaco. Ci tengono leggeri.

Al rientro, di nuovo i gruppi di discussione. L'ultimo compitino è stabilire le tre priorità dei comitati per Milano. Parlare è difficile, c'è molto rumore, si dissente sul metodo, ci si incavola anche un po'. Ma poi si completa il lavoro.

La due giorni di Milano si chiude con una raccolta delle istanze espresse dai gruppi. Ed è bello constatare che, indipendentemente dall'esperienza di ognuno, siano emersi intenti comuni: i comitati X Milano vogliono fare da tramite tra la città e i suoi apparati di governo, vogliono raccogliere i bisogni dei milanesi ed elaborare insieme a loro delle risposte.

Il bilancio: la due giorni mi ha convinto che un'altra politica, più partecipata, è possibile. Mi ha dimostrato che c'è gente disposta a spendere del tempo per migliorare Milano, per coinvolgere i suoi abitanti nella trasformazione di questa città.

Mi sono piaciuti: l’impegno notevole di chi ha organizzato, che ha fatto sì che tutto funzionasse, e la partecipazione della giunta (“Quando mai abbiamo avuto degli assessori così…” è stato il commento più sentito in platea).

Non mi sono piaciuti alcuni aspetti del lavoro di gruppo, troppo poco il tempo per poter parlare tutti in modo approfondito (forse si potevano organizzare solo due sessioni di gruppo, più lunghe, invece di tre).

Ho capito, infine, che abbiamo un limite: siamo ancora troppo simili, pericolosamente omogenei, e non solo per età. Dobbiamo lavorarci...

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