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Inviato da avatar Gianluca Gennai il 25-01-2025 alle 13:18

Mi inserisco in questo bel diaologo che tuttavia pare non appassionare gli attivi di partecipaMi.

Qual è la mia esperienza sull'argomento? Sono un ingegnere che dal 1990 frequenta paesi islamici per lavoro e che lì ha vissuto in mezzo alla gente. Dalle zone storiche al nord Africa dove l'Islam ha colonizzato i territori un tempo cristiani o pagani, in cui alcuni indigeni conservano ancora la propria cultura. La mia penetrazione nella realtà è molto diversa dal turista o da chi ha contatti sporadici in contesti che negli anni sono molto cambiati. La Siria degli anni 90 non esiste più mentre oggi si riscopre un Libano fragile e una Turchia dominante con le solite potenze che danno il loro contributo alle forze in campo.  Evidentemente la storia palestinese resta come fuoco ardente che brucia dalla notte dei tempi, dunque su questo non resta che il silenzio data l'impossibilità per noi occidentali di capire. Il nord Africa invece è un tema a parte, un magma di culture sulle quali domina l'Egitto e la storica guerra tra Libia e Cirenaica, anch'essa millenaria e irrisolta. Tunisia a parte, c'è un'Algeria in grande fermento post coloniale come terra di conquista da parte delle super potenze, e un Marocco che vanta un illuminismo islamico ma in eterno scontro proprio con l'Algeria con la quale condivide la questione del popolo Saarawi e le miniere delle montagne di confine, fino alle questioni della Mauritania e di tutto il deserto del Sahara dove i Tuareg si spostano senza confini, mantenendo il dominio di territori critici di confine con il Mali e via dicendo, dove traffici illeciti fin dalle origini, arrichiscono i signori della guerra che ogni volta trasformano i propri interessi in questioni di religione fino al Daesh. Ma questo mondo è fatto di tanta brava gente che si riconosce nel richiamo alla preghiera: Allah akbar diffuso dai minareti 5 volte al giorno, quando ogni bravo musulmano si orienta verso la Mecca per la sua preghiera. Sullo sfondo le correnti religiose, tavolta molto diverse a partire dagli sciiti e sunniti ma le correnti all'interno di questi macro mondi sono ennesime. Forse va citato il mondo wahabita. Un mondo di persone che lavorano nel rispetto del proprio pensiero e la propria cultura, milioni di fedeli musulmani che vivono del proprio operato senza pensare di spostarsi dalla propria terra, dalle proprie radici. Le realtà di povertà estrema, sono vissute nel rispetto del volere di Allah e nessuno pensa di prendere la via dell'occidente, salendo su un barchino. Si narra che scappano da una realtà ostile, ma non tutti scappano da una realtà legale (parlo dei cittadini del nord Africa). Chi studia e vorrebbe trovare un buon lavoro, prova a spostarsi legalmente con tutte le difficoltà del caso (permessi, denaro, vie privilegiate di amici già emigrati o familiari ecc.). Pochi i disperati onesti che si mettono in cammino fino alla Libia o alla Tunisia per poi affrontare il mare fino alle coste italiche.

Richiamare la lettera del Card. Martini degli anni 90, come esempio di convergenza se pure alta e d'interesse intereligioso e interculturale, mi pare francamente anacronistico. La realtà milanese è lontana da quei  precetti del colloquio intereligioso, la maggior parte dei fedeli musulmani di seconde generazioni e i tanti extracomunitari di fede musulmana che arrivano con il titolo di profughi, sono lontani dai precetti del Corano e distanti dalle idee di dialogo espresse da studiosi e persone di buona volontà che provano a polarizzare il pensiero dei propri simili verso il buon senso e il rispetto della società che li ha accolti se pure con difficoltà.

Mi faccia dire, ad esempio, che i nordafricani che arrivano oggi a Milano, non sono quelli di 20 anni fa, provengono da realtà rurali (per esempio gli egiziani) molto, troppo, lontane dal nostro pensiero di civiltà e dove la vita inizia non appena nasci e sei costretto a sopravvivere in ogni modo. Quale integrazione per questi fratelli musulmani sia possibile non saprei data la distanza del concetto di società e lavoro tra il loro vissuto in terra natia e questa Milano dove già noi fatichiamo. Peggio ancora l'idea che questi ragazzi si fanno tramite i social che sono un arma letale di condizionamento e arruolamento in un esercito di ombre che, certo, sanno come sopravvivere anche in circostanze estreme. Direi che il loro passato è di dubbia legalità ma per loro una necessità di lottare per la sopravvivenza che qui si trasforma in arroganza e senso di impunità, certamente vero rispetto a come verrebbero trattati anche nelle loro stesse località d'origine. L'italiano non ha anticorpi per questo sistema di valori in cui non ci sono mediazioni, o domini o sei dominato.

Sono convinto che non ci sia una possibilità d'integrazione per queste vite in una città dove anche gli italiani sono in difficoltà. Dunque quale integrazione propone questa Milano dove si fa di tutto per escludere le povertà a partire da quelle abitative. Cosi la narrazione dell'integrazione non è che un racconto sul quale si sostengono altre vite che vivono nel terzo settore oramai diventato un sistema economico e uno strumento politico di propaganda in cui si scrivono pagine di progetti e di teorie d'integrazione e recupero sociale che danno luogo a finanziamenti e tanta retorica.

Le seconde generazioni, invece, cercano un riscatto, un risarcimento anche per i loro genitori che hanno visto lavorare duro ma senza mai arrivare a una stabilità economica di livello. La seconda generazione crescitua nella povertà delle loro Famiglie, non è disposta a sacrificarsi con il lavoro come i propri genitori, il modello è, nel migliore dei casi, il cantante trap o rap, non certo l'Imam. Poi ci sono i modelli che arrivano dalla balieau di Marsiglia o Parigi, dove la Francia ha rinchiuso e sedato ogni possibilità di riscatto del livello sociale, tanto da avere innescato una radicalizzazione e ribellione combattuta con la repressione di storica deriva coloniale e dove i fratelli musulmani si sono coesi dando luogo a vere e proprie enclave in cui la guida spirituale è il RAS del quartiere, spesso radicalizzato e culturalmente rinchiuso nella cultura d'origine. Qui si osserva come San Siro o Corvetto, o Barona sembrano andare in quella direzione. 

Per essere franco, sono dell'idea che una Moschea a Milano sia necessaria per dare la possibilità di pregare in modo dignitoso e consono a tutti i fedeli musulmani, ma sono altrettanto convinto che questa non risolva le questioni e le derive che oramai si stanno consolidando tra i ragazzi e che non sembra siano gestibili dalle prime generazioni, dalle Famiglie di provenienza, dagli intellettuali e da tutto il mondo arabo adulto che mi pare incapace di portare la cultura della ragionevolezza nelle componenti giovanili maggiormente critiche. Come si può pensare di integrare e soprattutto come potremmo noi italiani avere successo la dove il mondo arabo di prima generazione sta fallendo. E' solo dai genitori che possono partire certi concetti di rispetto, un'educazione alla legalità e una cultura del sacrificio, il resto non sono che esercizi, spesso veri processi intellettuali di alto profilo quanto sterili di senso della realtà  in cui si formulano soluzioni totalmente lontane sia nel linguaggio che nel concetto, dal mondo in cui si muovono i profughi da una parte e le seconde generazioni dall'altra. Poi si potrebbe parlare dei precetti o delle 114 Sure سورة  o degli  ayāt nella loro interpretazione ma questa è un'altra storia. 

Si resta dunque rilegati a questi scambi di pensiero, questo buonismo nel quale si ripone una speranza, come nelle belle parole del Cardinal Martini o forse in questo libro in cui si leggono parole di convergenza, di dialogo e rispetto reciproco. Poi c'è il mondo fuori che attende azioni da parte del mondo degli adulti di fede musulmana, dato che la medizione culturale non è che una chimera.

Vedo un futuro molto critico in cui le Istituzioni non possono che reprimere per far rispettare il concetto di convivenza, dove sullo sfondo resta una forte richiesta alle Famiglie affinché promuovano la legalità e possibil soluzioni per riprendere un discorso di dialogo e di superamento delle barriere culturali che oggi fanno di una seconda generazione, uno strato ostile e rancoroso nei confronti dell'Italia. 

Gianluca Gennai

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