14 anni fa
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Perché non posso votare per Letizia Moratti.

Sono un cittadino che, ogni giorno, utilizza la bici per i propri spostamenti. Lo faccio da anni, da sempre. Tutto l’anno, con qualunque tempo. E’ un’abitudine, una preferenza, un piacere, non solo una convinzione o una “mania”.

Ma Milano è, da decenni, città “non amica” dei ciclisti. Nonostante le sue ridotte dimensioni, il suo clima mite, e la sua forma, che ricorda la ruota di una bicicletta.

Non è stato, storicamente, sempre così: Milano conosceva e praticava molto la mobilità ciclistica, non solo per gioco o per sport. Ma in passato era più una necessità, che una vera scelta.

Oggi, anche a Milano, la bici potrebbe rappresentare un mezzo per addolcire e alleggerire la mobilità quotidiana. Rendendola più piacevole (perché andare in bici è facile, veloce, conveniente, ma è anche bello). Contribuendo a migliorare la salute, il traffico, l’inquinamento, la qualità della vita di tutti (e non solo di chi la bici la usa).

Ma la bicicletta dovrebbe essere innanzitutto considerata con rispetto, non con sufficienza. Dovrebbe essere pensata come una risorsa, non come un accessorio. E dovrebbe essere curata fra le priorità e con il senso dell’urgenza, non arrivare sui titoli di coda, insieme alla campagna elettorale. In Europa (Berlino, Monaco, Vienna, Amsterdam, Copenhagen, Strasburgo...) è così da anni e decenni. Qui no. Chiediamoci perché.

La sfida comincia dalla visione e dalla volontà politica: se si vuole una città per le persone, e non per le auto, la bici è parte della soluzione, non del problema.

Il sindaco Letizia Moratti l’aveva indicata nel 2006 tra le sue priorità. Ma poi deve essersene dimenticata, fino a qualche mese fa. Ha deluso. Ha tradito gli impegni. Ha frustrato la partecipazione. Non ha dato risposte. Altre città in pochi anni hanno fatto progressi immensi, noi siamo rimasti al palo: questo dicono i fatti, depurati dalla propaganda.

Pensate a quel che significa, in termini di occasioni perdute, l’avere completamente trascurato le esigenze di chi si sposta in bicicletta in un intervento di riqualificazione importante come quello attuato in corso Buenos Aires: a fronte di una spesa di 2,5 milioni di euro, non un centesimo investito per la ciclabilità, nessuna corsia ciclabile, nessun parcheggio per le bici. Non è solo dimenticanza, peraltro simbolica. Perché noi glielo abbiamo anche insistentemente ricordato: una petizione promossa da Ciclobby, sostenuta persino da una parte dei commercianti e firmata da alcune migliaia di cittadini; varie richieste di incontro con il Vicesindaco, mai considerate; una mozione consiliare che neppure è stata discussa. Sono mancate le risposte perché è mancata la volontà.

Il rinnovo del mandato amministrativo non può limitarsi ad un acritico rinvio ad un programma futuro, come se si dovesse sempre sospendere il giudizio, prescindendo dai fatti. E il voto dei milanesi non può e non deve diventare un referendum su altri o su altro, siano essi il presidente del Consiglio o questioni che in nulla attengono alla politica di questa città, dovendo invece rispondere ai temi, ai problemi, alle aspettative di Milano. Non facciamoci espropriare del diritto di esprimerci sulla nostra città. Non coltiviamo altro senso di estraneità.


Perché voto Giuliano Pisapia.

C'è, nella nostra città e in generale nel Paese, una litigiosità estenuante che non è solo verticale, cioè dal debole al potente (o viceversa), ma anche orizzontale, cioè tra cittadini. Produce disagio, accresce i problemi. E dovrebbe preoccupare e far riflettere. Per cambiare. Ma invece sembra che tutto faccia parte del circo quotidiano cui siamo ormai abituati ovunque, in televisione come sulle strade.

Qualche giorno fa scriveva Gian Antonio Stella in un suo articolo sul Corriere queste considerazioni, con riferimento alla conflittualità patologica e asfissiante della politica che  «(...) sta producendo due danni collaterali gravissimi. Il primo è che i problemi reali e tangibili delle città, anche quando potrebbero essere affrontati e risolti con soluzioni condivise da tutti, diventano ulteriori motivi di risse ideologiche. Il secondo e conseguente è che, selezionati sempre più sulla base della loro fedeltà, della loro ortodossia, della loro combattività, gli amministratori locali sono spinti a dare il meglio di sé sul piano dei dibattiti televisivi e della campagna elettorale piuttosto che su quello della buona, oscura, quotidiana amministrazione. Col risultato che, bisognosi come siamo di una classe dirigente preparata, saggia, concreta e sobria, rischiamo di allevare solo ruspanti galli da combattimento».

L’opposto della conflittualità non è la rassegnazione, né l’apatia. Io non intendo essere né rassegnato né apatico.

Tutti dovremmo renderci conto che è da pazzi continuare a fare le cose nello stesso modo e attendersi risultati diversi.


Milano è governata da oltre venti anni dal centrodestra. In alcuni casi si tratta anche, fisicamente, delle stesse persone (De Corato). E’ un segno di fisiologica vitalità anche quello di saper alternare la guida della città, scegliendo una classe dirigente capace e competente, che interpreti il proprio ruolo con spirito di servizio e non come pura competizione di potere.

Non so se Pisapia come sindaco mi deluderà. So che ho deciso di votarlo perché lo stimo come persona sensibile, intelligente e corretta e perché Milano ha bisogno di cambiare davvero, a partire da chi la governa. Con la partecipazione e il sostegno di tutti. E penso che dobbiamo darci questa possibilità, che è anche una sfida. La sfida del cambiamento.


Eugenio Galli

avatar Riccardo Labadini 14 anni fa
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