Sei un cittadino attivo?

La parola partecipazione è un po' generica. Normalmente le si attribuisce un significato riferito al sentirsi della singola persona "partecipe" della vita comune che si svolge nella "polis". Di conseguenza, spesso le persone attive non sanno di "partecipare", perchè indirizzano la propria attività a obiettivi specifici, come la compagnia ai malati negli ospedali, la distribuzione di cibo e indumenti ai senza dimora ecc. Se dunque vogliamo costruire un catalogo della partecipazione, possiamo dire che può essere consapevole o inconsapevole. Il volontariato, così diffuso in Lombardia, è una forma spesso inconsapevole di partecipazione. La spinta è il bisogno di sentirsi utili, nel tentare di alleviare le sofferenze e le difficoltà di altre persone. Non è frequente che essa sia associata anche al considerare il sofferente persona e cittadino come se stessi nell'ambito di una comune convivenza, per cui il volontario non considera il Comune come una spalla o come un intruso, ma come un compagno di strada.

Ma è possbile un'altra distinzione. Spesso amministratori locali o personaggi politici in genere chiamano la "gente comune" alla partecipazione, intendendo con questa parola l'adesione all'invito di discutere di problemi posti da quei personaggi, con l'obiettivo di tener conto, nel prendere le decisioni, dell'ottica e dei bisogni dei "partecipanti". In casi di questo genere, la partecipazione è unilaterale, perchè chi il politico presta il suo orecchio, ma non consente al cittadino di entrare nel merito della decisione. Se invece la partecipazione ha la caratteristica del progetto, allora il cittadino diviene uno stakeholder come altri di quel progetto, e la partecipazione è bilaterale. La spinta, per il cittadino che aderisce all'invito o si organizza con altri cittadini per risolvere un problema, è generalmente il bisogno. Non si tratta necessariamente di bisogno economico, può trattarsi dell'attraversamento in sicurezza di una strada ecc. Attorno ad un bisogno si crea una catena di solidarietà tra cittadini. La soluzione unilaterale che potrebbe essere offerta da parte dell'amministratore genera spesso il conflitto con il gruppo di solidali, per motivi che non vi annoio a descrivere perchè li conoscerete per esperienza.

Queste righe vogliono solo sollecitare il contributo di altri, quindi mi fermo qui.

Grazie

In attesa che Chiara Mascetti ravvivi la sua presenza di creatrice della discussione, mi sembra interessante osservare che la partecipazione, come ho suggerito nella risposta precedente, non è da intendersi solo come la risposta di cittadini alle proposte di amministratori. La domanda circa "cosa non va?" dunque va vista con un respiro diverso. Certamente non va quella che in precedenza ho indicato come "unilateralità" della domanda di partecipazione. Chiedere alla popolazione cosa intendono relativamente ad un argomento di interesse delle municipalità o del Comune è certamente positivo, ma assomiglia troppo alle sollecitazioni partecipative delle parrocchie: venite, divertiamoci insieme, a noi interessa che voi siate felici. Mentre dovrebbero essere anche le persone qualsiasi a poter dire quali sono i propri problemi che la casa comune di Milano è disposta ad ospitare perchè le persone le affrontino da sole, con l'aiuto ove richiesto delle istituzioni. E' solo l'iniziativa di base con esiti positivi a poter creare una cultura della partecipazione, non certo quella o solo quella che proviene "dall'alto". Questo concetto mi sembrava già contenuto nel programma di Sala, quando diceva che i quartieri e le periferie, che non dovevano più chiamarsi così, dovevano per loro iniziativa recuparare la propria vocazione, nota soprattutto a chi ci vive.

Non mi dilungo. Aspetto qualche reazione perchè non sia un soliloquio.

La parola partecipazione è ambigua. Può infatti essere utilizzata con due significati diversi: prendere parte o prendere una parte. Non sono la stessa cosa. L'attitudine oggi più frequente è quella del prendere una parte, più di frequente quella "contro" una qualsiasi entità interpretata come un potere. Essere invece disposto a prender parte nel senso di dare un contributo al benessere collettivo è meno facile proprio per i motivi indicati da Bruno Alessandro Bertini. E' strano che, proprio nel momento in cui la sfiducia nei confronti della classe politica è così diffusa, a quella si perseveri nell'attribuire il mandato decisionale che poi si pensa di verificare in corso d'opera, dato che farlo ogni 4 o 5 anni è suicida, poichè tutto ciò che non si condivide è ormai stato fatto. Ma, vedi combinazione, dare il proprio parere positivo o critico in corso d'opera è proprio l'azione del partecipare. 

Dal mio personale punto di vista, la parola partecipare potrebbe anche scomparire dal vocabolario politico. Un individuo, superata la fase iniziale della propria vita in cui la concentrazione su di sè è totale, pena la morte, si apre al mondo esterno. Più evita di tornare nel proprio stato di concentrazione egoistica, più si trasforma in un adulto. Per il quale la cosa pubblica e quella privata, pur essendo diverse, sono comunque legate tra di loro. 

A questo punto, il cittadino, che è attivo per natura, fa certamente i propri interessi, ma non nel senso liberale dell'homo oeconomicus, ma nel senso che il suo contributo non può essere che quello che corrisponde alla sua persona, alle sue necessità, alle sue capacità e alla sua creatività. In questo senso, il rispetto delle regole non è il paletto che, come sembra dallo scritto di Bertini, uno si trova tra i piedi e che si forza ad accettare, ma è la consapevolezza del mondo in cui vive e a cui intende dare un contributo.

Quest'ottica la possiamo aggiungere tra i difetti dell'attuale pur fortemente positiva esperienza milanese. Noto infatti una certa fatica a raggiungere una coerenza su tutti i fronti della richiesta di partecipazione, come se il cittadino fosse diviso a fette in base ai suoi interessi più o meno marcati verso i diversi temi che il Comune affronta.

Per evitare di eccedere, mi fermo e ringrazio per l'attenzione

Cara Chiara,

lo scopo della tua discussione avresti però dovuto dichiararlo subito, perché non mi sembra giusto inserire idee di altri nella tua tesi senza chiedere preventivamente l'autorizzazione e indicare la fonte, ma sono sicuro che rimedierai chiedendo le autorizzazioni del caso e indicando la fonte, vero?

:-)

Oliverio

Diffido Chiara Mascetti dall'utilizzo, anche in modo informale, dei contenuti di uno qualsiasi degli interventi di questa discussione per suo uso privato, senza aver prima consultato il titolare di quel pensiero e averne ottenuto il consenso sia alla pubblicazione del suo pensiero sia alla indicazione della fonte. Nel caso dovessi essere informato di un comportamento difforme rispetto a quello qui indicato mi riservo di accedere alle vie legali.

Ringrazio, per quanto non avessi dubbi. Ma il primo criterio per essere disposti alla partecipazione è proprio la fiducia reciproca, concretizzata dalla trasparenza. Che in rete si possa pescare di tutto a man bassa è proprio il limite della rete stessa, che non a caso è più utilizzata per diffondere opinioni non provate e contraddittorie anzichè, come qui si intende fare, idee frutto di elaborazione di pensiero e sperimentale offerte con modestia al riscontro di una comunità allo scopo di concretizzare un obiettivo comune.

Superata quindi la fase di drammatizzazione, sono a disposizione per continuare questo nostro dibattito.

Ringrazio gli altri, per quanto pochi, interlocutori perchè nel nostro piccolo abbiamo messo in evidenza un aspetto fondamentale: una comunità è costituita da una varietà di esperienze, esigenze, disponibilità, identità diverse. La partecipazione è la creazione di un legame di solidarietà attorno ad un bisogno riconosciuto come comune fra persone che, su altre questioni, potrebbero avere visioni diametralmente opposte. E che in corso d'opera possono manifestare, lungo lo sviluppo risolutivo di quel bisogno, diversità di modi, sviluppi ecc.

Nella norma dei casi, la partecipazione è caratterizzata da poche figure di stakeholder: cittadini, amministratori, terzi sviluppatori/esecutori del progetto, terzi coinvolti per motivi diversi (belle arti, architetti del territorio, sicurezza, mobilità ecc.), alcune con ruolo decisionale, altre con ruolo complementare.

La diversa natura degli stakeholder è una delle maggiori difficoltà di collaborazione durante l'esperienza di partecipazione. Non soltanto per la frequente transitorietà, nei gruppi di lavoro, dei cittadini, ma anche per il mancato sviluppo del progetto partecipativo da parte di chi - spesso gli amministratori - lo ha lanciato.

Esempi di questo abbandono in corso d'opera sono ad esempio la formazione finanziaria dei cittadini, aperta con successo con la collaborazione di IKEA ed altri e con l'ausilio di UNI. Un altro esempio è il tavolo di regia dei Senza (Fissa) Dimora, di portata europea. Eccetera.

Mi fermo qui. Grazie

GMG