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1 anno fa
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Quando si parla di piante, della necessità di metterne il più possibile comunque e dovunque, scappa la terribile parola "autoctone". Le piante assomigliano molto a noi italiani. Figli di popoli che hanno scorrazzato su e giù per la penisola, mescolati con altri antichi popoli a loro volta venuti da chissà dove, si fa molta fatica a pensare (e mi chiedo come fa chi lo pensa) che davvero siamo l'unica etnia ad aver diritto di piantar radici per terra.
 
Così pensiamo delle piante autoctone. In pieno e furioso razzismo botanico, occhiuti e indignati pronunciamo questa cacofonica parola come fosse il verdetto di una giuria.
Se non per amore, almeno per razionalità: non ce lo possiamo permettere.
Molte piante "autoctone" non sopravvivono, non sopravviveranno a questo nuovo clima. Molte sono malate, basta andare a vederle. Di incuria, di cattiverie, ma soprattutto di un clima che non riescono più a comprendere.
Se vogliamo fare qualcosa di buono per le piante e di conseguenza a noi stessi, smettiamo di mettere a dimora piantine che senz'altro moriranno, a meno di innaffiarle per decenni per tenerle in vita; perché questo è ciò che ci aspetta.
Gli diamo vita solo per condannarle a morte?
Dedichiamoci invece a piante autoctone e non, escluse quelle infestanti, in grado di guardare al futuro e di accompagnare noi e i nostri discendenti in momenti difficili.
Sapranno ricompensarci.

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