Incontro 2025-03-30 "Il baro di Dio. Pascal e la scommessa sulla fede" Introzzi Gianluca

SUL PASCAL DELL’OTTIMA LEZIONE DEL  PROF. INTROZZI

La scommessa del prof Introzzi di illustrarci la …scommessa di Pascal sulla convenienza probabilistica di quello che lui chiama il “Baro di Dio”, a proposito del Padre Eterno……è vinta. Nel senso che ci ha brillantemente dimostrato come il grande Pascal giocasse, se non con carte truccate, con magistrale astuzia cristiana, in pieno seicento, nell’esortare qualche buona anima sensibile a scommettere sull’esistenza di Dio senza rischiare di sbagliare.

C’è dell’ironia in tutto questo, a parte un rispetto tutto storico-epocale per la genialata di Pascal basata sugli impeccabili calcoli probabilistici che darebbero ragione ai credenti.  Perché la cosa che credo si evinca da questo discorso- e il professore può bacchettarmi quando vuole per le mie personali idee di non matematico-, è che lo scienziato e filosofo Pascal -paradossalmente- è riuscito secoli fa a smascherare l’ipocrisia che abita da sempre la Fede di molti Religiosi Dogmatici, quando dai tempi dei medioevo ne vogliono fare ratio (più che strazio), ne vogliono fare Calcolo e Ragione. Più raziocinante e cartesiano del nemico Cartesio, Pascal vuole fondare la Fede su radici che non le spettano (se la Fede à Dubbio, come insegnava San Paolo), ossia calcoli chiari ed evidenti, presupposti fermi e inconfutabili: bisogna credere in Dio, bisogna matematicamente credere (dice il Baro di Dio) perche' se si perde la Scommessa non si perde niente (la vita è niente?), se si vince la Scommessa si vince tutto. Povero Dio, se ci espone a questo Calcolo per credere! Peggio del Dio di Abramo, che sfida ad uccidere il figlio per lui, per poi bloccargli il braccio. Un Dio matematico, giocando anche a carte coperte, ci sfiderebbe mettendo in gioco della nostra vita, la probabile via vecchia per la nuova, una vita eterna in cambio di questa, che non può starle alla pari. E che fede è? La fede del bancario, del notaio, del contabile? Cosa se ne farebbe un vero Dio di un credente simile, un credente per calcolo, un usuraio fariseo? Siamo nel seicento, obietterà il prof che queste cose le mastica, uno strano esprit de finesse post cartesiano rubava alla scienza un singolare esprit de geometrie fare della fede qualcosa di razionale, di conveniente. Alla faccia del credo quia absurdum giustamente citato dal prof.

Ma se la vera fede non è calcolo, non è ratio (che vuol dire calcolo), se pende dalla parte della scommessa che si può anche perdere (tanto non si perde nulla), si capisce come dietro questa scelta di optare per la posta più alta ci sia una Volontà. Coraggio? Coraggio di scommettere? Ma chi al casinò non avrebbe coraggio di mettere i soldi sulla posta più alta, con le migliori probabilità di vittoria? Niente meno che la Vita Eterna!

Ora, se esistesse un Dio di tale natura, sarebbe un Bancario più che un Dio Razionale, uno che gioca con i credenti come pupazzi. Sentivo accanto a me un amico dirmi all’orecchio, durante il discorso su Pascal, che al posto di Dio avrebbe schiaffato all’Inferno un credente simile, che ha pensato di salvarsi perché ha giocato bene, magari consigliato da un consulente finanziario. E poi, e qui vado anche contro San Paolo, perché Credere sarebbe un merito? Perché dovrebbero soffrire per l’Eternità quelli che non hanno scommesso sull’eternità ma sulla Vita? Vecchio problema, perché se io credo, o credo in questo bicchiere che vedo, reale, o credo in questo Dio che non vedo, irreale. Ma se non lo posso sapere, se la sua esistenza è insieme nulla e reale, ossia probabile, fifty fifty, debbo appellarmi al mio fiuto di giocatore d’azzardo, o ai miei calcoli matematici. Era Cartesio che sognava un Dio matematico ma poi aveva l’incubo del Dio Burlone (non sapendo che anche il Cogito è una burla).

Insomma, e il prof. Introzzi lo ha fatto capire, Pascal si rivolgeva a quei cristiani incerti che volevano certezze per credere, assicurazioni a vita, anzi a vite, a vite eterne (ne basta una). Quelli che volevano l’eternità e ci scommettevano pure, ed  erano disposti a giocarsi una vita (questa miseria) pur di vincere. Ti do il mio Finito per l’Infinito, la mia Immanenza per la Trascendenza, il mio Tempo per l’Eternità. Geniale, ma dal punto di vista dello Smascheramento. Mi ricorda il film scritto da Zavattini per Vittorio De Sica, Il giudizio universale del 1961, quando a Napoli una voce potente irrompe da cielo una mattina e urla che ‘Alle 18 comincia il Giudizio Universale!’. E tra i napoletani in subbuglio, scossi dall’annuncio della fine del mondo, c’è chi si crede e scommette sulla verità di quella Voce, e si pente di tutti i mali di una vita. Anche lì, una fede molto nostrana pensa che ci sia molto da guadagnarci nel credere. Anche per quelli che non hanno mai creduto.

Roberto Caracci

Scommessa di Pascal

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