Incontro 2025-06-08 "Yin e Yang tecnologico: un confronto tra l'approccio orientale e occidentale all'IA" Lubrano Filippo

Creatività e intelligenza artificiale

Questa volta sarò breve, anche perché siamo agli sgoccioli della stagione Estiva di Filosofia Sui Navigli, fa già molto caldo, la Sede il prossimo anno non sarà più la prestigiosa Casa Alda Merini, e in presenza ad ascoltare il bravo spezzino Filippo Lubrano eravamo davvero in pochi. In relatore era on line e lo stesso Gran Patriarca dei Navigli Pietro Tamburrini era collegato su Zoom.

Ma volevo solo commentare una frase che è uscita nel fitto eloquio di Lubrano, ingegnere e poeta dei cosiddetti Mitilanti, da me conosciuto di persona proprio a La  Spezia. La frase rispondeva già alla domanda-riflessione che io gli ho rivolto, e che sono solito rivolgere a tutti coloro che parlano con illuministico ottimismo della Intelligenza Artificiale: Qual è e quale sarà in futuro il  reale rapporto fra Creatività specie in campo letterario e questo nuovo e rivoluzionario Mezzo Intelligente, che sta già cominciando a dominare la realtà?

La frase pressappoco è codesta: L’Intelligenza Artificiale potrà d’ora in poi essere usata anche dai Letterati come Architettura, Impalcatura, Struttura di partenza della loro opera, che sia una poesia (chiediamo alla AI come scriverebbe una poesia su temi suggeriti), racconto (chiediamo alla AI come strutturerebbe un racconto, plot e dialoghi inclusi), una intero romanzo (è stato già fatto, un editore ha dichiarato che il romanzo di un suo scrittore già affermato è stato scritto dalla AI).

Questa è la frase che ha colpito un antico umanista come me, un dinosauro certamente, un letterato che mai si sognerebbe di riscrivere una dorata cattedrale come la Recherche di Proust. Perché di fronte a questa possibilità tutti i mediocri che non sanno scrivere, che non hanno idee, che hanno l’impasse e il crampo dello scrittore….possono esultare. Non è cinismo, ma è una costatazione: l’aiuto, l’impalcatura, il mezzo (perché l’AI dovrebbe essere un mezzo, un mezzo utile come per la raccolta di bozze) rischia di diventare un fine, l’intero, l’originale. Quello che pressappoco che si diceva del troppo perfetto Il nome della rosa di Eco, che per un esperto ante litteram in informatica come l’Autore, appariva algidamente scritto da una macchina, romanzo impeccabile e senza anima.

Ora, se io scrittore mi faccio aiutare dalla stampella di un plot verosimile, basato sul calcolo di tutte le probabilità logiche e tematiche e formali della mia idea che non posso prevedere (perche l’AI mi batte a scacchi e in sequenzialità logica), potrei essere appunto solo il motore iniziale della mia, poesia, e racconto e intero romanzo. Il fatto è che in letteratura è notoriamente l’idea che produce la sua forma, e una idea che lascia alla forma  proliferare da sé ed esplorare il campo borgesiano (magari ci fosse un Borges nella macchina) in lungo e in largo, è come il filo che ha perduto la sua matassa, è il soggetto letterario che ha perduto il suo spazio, di manovra, il suo spirito, la sua anima e il suo corpo.

Una nota vocina flebile dei Navigli ha osato dire quella che, se non è una verità,  è certo una questione da considerare in generale: L’intelligenza Artificiale non ha Ormoni,  non ha Secrezioni, non ha Corpo. E in pratica non ha Emozioni, che sono indispensabili a una Creatività Letteraria non fatta solo di connessioni e possibilità logico-razionali.

Sappiamo che questo sembra un vecchio discorso oramai datato, nostalgico, obsoleto, ma la soggettività che qui si rischia di perdere- asfaltata da un oggetto più grande di lei, è una risorsa necessaria dalla Buona Grande Letteratura. Se pensiamo a Proust, a Joyce, a Kafka, noi pensiamo  a Proust, a Joyce, a Kafka, non a un impersonale che c’è dietro.

E invece qui, come dice il simpatico Lubrano, il prodotto rischia di asfaltare il producente, l’architettura più geniale dell’architetto, e o già vedo lo scrittore a braccia conserte già aspettare il ‘romanzo che si fa da sé’. Lui ci ha messo la competenza, ha dato l’imput. Si dirà: ma sarò questo il genio del futuro, quello capace di dare l’imput alla macchina, di farla lavorare per lui, dunque il Competente. Il rischio, democraticamente plausibile ma letterariamente disastroso, è di avere degli scrittori con meno anima ma più talento nel manipolare la macchina a loro servizio, fino a pensare che quella non è una macchina ma proprio il Soggetto che lavora per se stesso.

Certo, già il computer, come una volta il commodor o addirittura la macchina Olivetti, hanno dato a molti l’illusione democratica di essere veri scrittori (Bacchelli scriveva apposta con la penna d’oca!). Ma qui il vantaggio per molti va oltre: essere scrittori facendosi dettare la scrittura.

Obiezione vostro onore! L’intelligenza Artificiale, di  cui è da qualche mese che si parla ai Navigli, non vuole soppiantare il Soggetto, la libertà di Scelta, la Creatività: L’uomo resterà sempre il Sovrano dei suoi mezzi, a l’Intelligenza Artificiale è più utile e intelligente dei mezzi!

La verità che l’AI è il mezzo più potente per creare i proprio fini. Sembra affiori nell’umanità contemporanea il sogno insieme superumano e masochistico di una Intelligenza Suo Malgrado. Che lo lasci riposare per una volta dalla vecchia solfa del libero arbitrio, ma soprattutto dal decidere. Politicamente, un rischio enorme di delega a qualche robot a forma di Musk della economia e politica mondiale (e speriamo che l’Ai non cade in mani folli). Creativamente, una scommessa, la scommessa della permanenza di una profondità del Soggetto (chiamiamolo ancora così per una volta) che resti sovrano dei suoi mezzi, e non confonda ad esempio la Creatività Letteraria con un gioco di bussolotti, un gioco di prestigio, una ragnatela alla Ariosto, Borges o alla Calvino che almeno continuavano a reggere nelle loro mani i fili del mondo che tessevano. RC.

Ho rielaborato l'importante riflessione di Roberto Caracci evidenziandone i punti salienti.

Creatività e Intelligenza Artificiale

Una riflessione umanistica sull’autore, che è il corpo e l’anima della letteratura, nell’era degli algoritmi

di Roberto Caracci

Siamo agli sgoccioli della stagione estiva di Filosofia Sui Navigli. Fa caldo, la sede — la prestigiosa Casa Alda Merini — non ci sarà più l’anno prossimo, e all’incontro con il bravo spezzino Filippo Lubrano eravamo pochi, in presenza. Lui parlava online; anche il Gran Patriarca dei Navigli, Pietro Tamburrini, era collegato su Zoom.

Ma quel che voglio qui commentare è una frase uscita dal fitto eloquio di Lubrano — ingegnere e poeta dei cosiddetti Mitilanti — che rispondeva, quasi senza bisogno di replica, alla domanda che sono solito rivolgere a chi parla dell’Intelligenza Artificiale con entusiasmo illuministico:

Qual è, e quale sarà in futuro, il reale rapporto fra creatività — specie in campo letterario — e questo nuovo Mezzo Intelligente che già sta dominando la realtà?

La frase, pressappoco, era questa:

«L’Intelligenza Artificiale potrà d’ora in poi essere usata anche dai letterati come architettura, impalcatura, struttura di partenza per la loro opera — sia essa poesia, racconto o intero romanzo. Chiediamo alla AI come scriverebbe, e da lì partiamo.»

Ecco. Questa è la frase che ha colpito un umanista come me, un dinosauro, un letterato che mai si sognerebbe di riscrivere una dorata cattedrale come la Recherche di Proust con l’aiuto di una macchina.

Il rischio della letteratura prefabbricata

Perché di fronte a questa possibilità, tutti i mediocri — quelli che non sanno scrivere, che non hanno idee, che soffrono del crampo dello scrittore — possono esultare. Non è cinismo, è costatazione. L’aiuto, il mezzo, l’impalcatura rischia di diventare non più strumento, ma fine. L’intero. L’originale.

Lo dicevano già — in modo sospettoso — di Il nome della rosa di Umberto Eco: un romanzo troppo perfetto, troppo strutturato, da sembrare scritto da una macchina. Impeccabile, sì, ma senz’anima.

Il romanzo che si scrive da sé

Ora, se io scrittore mi faccio aiutare da una stampella logico-statistica — un algoritmo che calcola il plot più verosimile, i dialoghi più coerenti, la forma più “funzionale” alla mia idea — rischio di diventare solo il motore iniziale del mio stesso romanzo. In letteratura, invece, è l’idea che plasma la forma, non viceversa.

Un’idea che abdica alla macchina la responsabilità di svilupparsi — di sbagliare, di mutare, di inciampare — è un’idea che ha perso il suo corpo. Ha perso il suo spazio, la sua anima.

Una voce flebile dei Navigli ha osato dire, in margine:

«L’intelligenza artificiale non ha ormoni, non ha secrezioni, non ha corpo.»

Sembra una battuta, ma è una verità metafisica. E pratica: senza corpo, non c’è esperienza; senza esperienza, non c’è emozione; senza emozione, non c’è letteratura. Non quella vera, almeno. Quella che lascia il segno, che ferisce, che consola.

Il soggetto asfaltato dall’oggetto

Sì, lo sappiamo: questo discorso può sembrare nostalgico, datato, persino reazionario. Ma è lecito — e necessario — chiedersi:
che fine fa il soggetto, se è l’oggetto a dominare la scena?

L’AI, ci dicono, non vuole soppiantare la libertà umana, né la creatività. Ma intanto diventa ogni giorno più potente, più convincente, più capace di imitare. Fino al rischio — reale — che il prodotto oscuri il produttore, che l’architettura emerga come più brillante dell’architetto.

E allora lo scrittore può restare a braccia conserte, ad aspettare il “romanzo che si fa da sé”. Lui ci ha messo l’input. Ha delegato. Ma cosa ha perso, in cambio?

Un nuovo tipo di scrittore?

Qualcuno dirà: sarà questo il genio del futuro. Quello capace di dare l’input giusto alla macchina. Di farla lavorare per sé.

Forse. Ma il rischio — democraticamente plausibile, letterariamente disastroso — è di avere scrittori con meno anima, ma più abilità nell’usare lo strumento. Più ingegneri del testo che autori. Più manipolatori del meccanismo che protagonisti dell’immaginazione.

La letteratura non è un gioco di prestigio

Lo sappiamo: già il computer, un tempo il Commodore, o la cara macchina Olivetti, avevano dato a molti l’illusione di essere scrittori. Ma ora il passo è diverso. Non si tratta di scrivere più velocemente, ma di farci dettare la scrittura.

Chi ha ancora memoria di Bacchelli che scriveva con la penna d’oca, non può non sentire la differenza.

Conclusione: la scommessa dell’anima

L’Intelligenza Artificiale è forse il mezzo più potente mai avuto a disposizione dalla creatività umana. Ma ogni mezzo così potente tende a farsi fine. A travolgere il suo stesso autore.

La vera posta in gioco oggi è una: salvare la profondità del soggetto. Continuare a credere che la scrittura sia ancora un atto umano, incarnato, fallibile, personale. Un atto in cui — come diceva Borges — l’autore tesse una ragnatela non per catturare, ma per raccontare il mistero del mondo.

E finché ci sarà almeno un lettore che riconosce la voce inconfondibile di Proust, Kafka, Joyce… finché penseremo a loro e non a “ciò che c’è dietro”, avremo ancora un motivo per scrivere.

Non con la macchina. Ma nonostante la macchina.

https://avvbonomo.blogspot.com/2025/06/verso-lautonomia-cognitiva-artificiale.html  una visione del futuro non remoto ma prossimo, buon w.e. ✨