I servizi sociali nel Comune di Milano hanno sempre rappresentato una serie di vulnerabilità a partire da quelli destinati ai disabili e si citano proprio alcune realtà nate in seguito alla Legge quadro 328 del 2000  che ribaltava i concetti definiti dalla precedente norma sulla medesima materia, risalente addirittura al secolo scorso. Si voleva, in altre parole:
- concepire l'intervento sociale non come intervento riparatore di un "danno", ma come strategia integrata finalizzata al "Bene Essere della Persona", definendo i livelli essenziali delle prestazioni sociali, da finanziare anche attraverso il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e la realizzazione del Piano Sociale Nazionale;
- concepire le diverse competenze istituzionali non come confini burocratici e amministrativi entro cui difendere le proprie autonomie, ma come condizione di chiarezza sulle responsabilità dei diversi soggetti del sistema integrato;
- concepire il ruolo dei soggetti di Terzo Settore non come supplente o più conveniente rispetto ai ruoli e ai costi della Pubblica Amministrazione, ma come portatore di interessi diffusi, a partire dal ruolo di advocacy e tutela dei diritti, delle istanze e dei bisogni dei cittadini, e quindi da intendere come ruolo attivo nella coprogettazione e nell'ideazione degli interventi e dei servizi alla persona. Bene qui rientra il principio della sussidarietà ma spesso questo principio dalle nobili aspirazioni nasconde realtà ben più oscure che vengono camuffate da sociali basta rifarsi a differenti testi che descrivono le numerose inchieste fra cui La lobby di Dio scritto da Ferruccio Pinotti. Sia concesso un piccolo inciso inerente al principio di sussidarietà.
Il principio della Sussidarietà delega ai Privati ai singoli cittadini servizi che devono essere svolti dallo Stato infatti uno dei tre livelli presenti nel principio afferma che" non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli". Questo a nostro avviso indica una delegittimazione dei servizi sociali affidandoli ad una schiera di soggetti seppur con meritevoli intenzioni, in molti casi possono nascondere delle notevoli operazioni finanziarie, quali creazione di Fondi Etici. Ma il capitalismo può avere un etica? Perchè si deve giocare con le parole, nascondendo dietro vocaboli altisonanti logiche  che sono volte al profitto e non certo all'interesse delle famiglie e dei soggetti che vivono in una condizione di vulnerabilità. Si avvia sempre di più una delegittimazione dei servizi pubblici a favore del privato, con il conseguente smantellamento dello Stato sociale. Inoltre secondo il principio di sussidarietà  per prestazione si intende ciò che "si deve fare" a causa del proprio ruolo nella società, quindi questo chiarifica come viene attuata in maniera subdola la repressione  attraverso questo principio che è strettamente legata alla stratificazione sociale e alla divisione del lavoro. In altre parole secondo tale logica, la prestazione è ciò che l'individuo deve fornire alla società, ed è ciò che la società si aspetta dall'individuo. Peccato che la prestazione dovrebbe essere garantita a tutti i ceti sociali in qualsiasi Regione essi risiedano, poichè è ovvio che in base al Federalismo fiscale se la persona affetta da vulnerabilità risiede in una Regione ricca, ha maggiore welfare e misure, rispetto a chi risiede in una priva di risorse. Oltre al principio di sussidarietà la Legge 328 del 2000, contiene  un articolo che per le persone con disabilità riveste un'importanza assoluta: l’articolo 14 (Progetti individuali per le persone disabili), che prevede il diritto di ogni persona con disabilità (e di chi lo rappresenta) di chiedere al Comune di scrivere il proprio progetto personalizzato di vita, d'intesa con l'ASL e con i diversi soggetti sociali e istituzionali che devono agire per realizzare la piena integrazione sociale.
Un altro articolo di fondamentale importanza - rimasto del tutto disatteso - è il 24 (Delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo) che prevedeva la revisione dei sistemi di accertamento di invalidità civile e stato di handicap e delle provvidenze economiche collegate, con il fine di orientare meglio l’obiettivo di tali misure verso il contrasto alla povertà e la promozione di incentivi alla rimozione delle limitazioni e valorizzazione delle capacità e autonomie delle persone con disabilità, nonché lo snellimento delle procedure connesse.Bene queste le speranze disattese dalla Legge! Tanto da condurre il Presidente ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) a indire una Campagna per il rispetto della Legge.
Si cita inoltre un indagine inerente alle condizioni di vita e salute sul ricorso ai servizi sanitari, svolta tra il 2004 e il 2005, in Lombardia, in base alla quale, le persone con disabilitìà dovrebbero essere 337 mila, di cui 266 mila con un’età superiore ai 65 anni.  I Dati Istat risalenti al 2001 stimano che in Lombardia le persone con disabilità sarebbero il 4,1% sul totale della popolazione.
Ma i servizi sociali riescono a rispondere alle esigenze dei disabili che entrano nella terza età? Secondo una “rete” di associazioni che opera nel territorio la risposta è “no”. Dal dissenso di queste associazioni è nato un documento. Il cui lavoro comune è stato presentato in Caritas durante il convegno “La persona con disabilità diventa anziana” che si è tenuto nella sede della Caritas ambrosiana a Milano, in data 8 dicembre 2008.

Gli esperti che hanno preparato il “rapporto” sulla situazione dei disabili anziani a Milano erano Silvia Borghi ed Elisabetta Malagnini (Caritas ambrosiana), Maria Luisa Papetti (Anffas Milano), Guido De Vecchi (Oltre noi… la vita), Paola Maestroni e Maurizio Cavalli (Consorzio Sir), Lino Lacagnina (direttore Fondazione Don Gnocchi e presidente Ciessevi), Nenette Anderloni (Fondazione Idea Vita), Carla Torselli (Anffas Pavia), Stefano Fava (Aias Milano), Giovanni Merlo e Gaetano De Luca (Ledha), Laura Belloni (cooperativa Diapason). Ciessevi ha supportato l’iniziativa curando la pubblicazione del lavoro svolto e valorizzando la “rete” delle associazioni coinvolte.

I servizi sociali venivano posti sotto accusa partendo dal fatto che gli interventi prendono in considerazione le “categorie” degli utenti e non le esigenze dei singoli. «La persona con disabilità che diventa anziana – si legge nel documento presentato dalle associazioni – ha diritto a una vecchiaia dignitosa e rispettosa delle scelte di vita che il singolo, la famiglia e i servizi hanno operato nel divenire dell’insieme dell’esistenza [...]. Le associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari si trovano oggi nella necessità di riaffermare con forza questo principio alla luce di quanto sta accadendo nei nostri comuni. Il diritto a invecchiare serenamente da parte delle persone con disabilità non appare oggi garantito dalle pratiche amministrative e gestionali dei servizi: la tendenza prevalente è quella di appiattire i bisogni delle persone con disabilità, una volta raggiunti i sessantacinque anni di età, sulla “questione residenzialità”. Una situazione che prevede sempre più di frequente il ricovero in strutture per anziani una volta compiuti i sessantacinque anni».

La generazione delle persone con disabilità che oggi si affaccia alla terza età è la prima, nella storia del nostro Paese, ad aver vissuto gran parte della sua vita fuori dagli istituti. E ha il diritto di mantenere consuetudini e legami affettivi, fruendo di opportunità di relazione e di svago. Nel documento, vengono definite “prevaricazioni” «quegli interventi che forzano la natura delle persone per rendere compatibili i loro comportamenti e caratteristiche con modelli di servizi prefissati». Viene osservato che, mentre alle persone senza disabilità non capita di dover cambiare stile di vita al compimento di una certa età, alla persona disabile l’ente pubblico, al compimento dei sessantacinque anni, offre i servizi previsti per gli anziani e preclude, di norma, quelli previsti per i disabili anche se la persona ne sta usufruendo e le sue condizioni di salute non richiederebbero alcun intervento né alcun cambiamento di stile di vita.

Le associazioni firmatarie del documento notavano che le delibere regionali sui servizi sociosanitari spingono gli enti gestori a progettare e realizzare servizi che, per sopravvivere economicamente, accolgano il numero massimo delle persone consentito, mutuando, seppure in forme ridotte, lo stile gestionale dei vecchi istituti di ricovero»; che «in questo contesto, diventa difficile, perché non viene valorizzato, garantire il rispetto delle specifiche esigenze della persona e la sua qualità della vita» e che «forzare una persona con disabilità che conserva buone capacità di autonomia ai regimi previsti per anziani non autosufficienti è un atto di violenza e di mancanza di rispetto per la persona». Per fare un esempio, le vacanze estive sono finora previste per minori e adulti con disabilità solo fino al compimento dei sessant’anni. «Negando la vacanza – si legge nel “rapporto” -, viene negata la possibilità di continuare a coltivare relazioni ed esperienze importanti per la qualità della vita della persona, che si prolunga bel oltre le due settimane passate al mare o in montagna».

La giornalista Sandra Toganrini affermava che viene quindi auspicata l’attivazione di una unità valutativa delle problematiche familiari, trasversale ai servizi, che possa tenere conto delle esigenze familiari e dei singoli che si evolvono con il passare del tempo e che rappresenti un punto di riferimento unico e stabile per la presa in carico. Inoltre, si rende necessaria la preparazione di un “percorso” verso la terza età che possa prevedere, fin quando possibile, per le persone con disabilità il mantenimento della propria condizione di vita in casa o nel servizio residenziale, indipendentemente dai passaggi di carattere amministrativo, sperimentando la creazione, presso le Rsa, di speciali nuclei di residenzialità dotati di servizi infermieristici generali e di attività diurne, in modo da rendere graduale e naturale il percorso di vita verso la vecchiaia.

Bene nulla di tutto questo è stato fatto sono stati avviati tagli sul sociale e ha ben  ragione la Signora Rondelli i tagli ai contributi economici richiesti dalle famiglie in cui è presente un bambino un ragazzo o un adulto con disabilità nell'ultimo anno sono stati tanti e molto pesanti.

 

Occorre avviare una seria politica dei servizi sociali basata sulla trasparenza e non sul Project Financing come ha fatto sinora l'Amministrazione ma ascoltando le esigenze di chi ogni giorno vive sulla propria pelle la disabilità perchè rendere città e servizi a misura di disabile significa creare una società veramente civile.

Spero di essere stato esaustivo,

Fabrizio Montuori Candidato sindaco del PCL

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