Rispondi a:

Inviato da avatar Eugenio Galli il 17-09-2013 alle 12:35

Riprendo qui il senso di quanto ho scritto anche ai due giornalisti (Battista e Rodotà) autori degli articoli usciti sul Corriere di domenica 15 settembre.

Scusandomi in anticipo per la lunghezza della risposta.

EG

=================

Fino a quando le discussioni sul tema della mobilità ciclistica verranno affrontate con la logica dei campanili, o come se qualcuno dovesse imbracciare un’arma carica contro qualcun altro, minacciandone l’integrità fisica e la stessa vita, credo che questo Paese, arretrato più di tutti gli altri in Europa, continuerà a non fare passi avanti sul fronte della mobilità sostenibile.

Ha senso incalzare un conflitto tra ciclisti e pedoni? Che utilità concreta possono avere queste schermaglie? Solo a fare notizia e suscitare un dibattito isterico fine a sé stesso? Perché dedicare un’intera pagina a un botta e risposta astratto sul pro o contro le bici sui marciapiedi, senza neppure una riga di approfondimento nel merito e, oltretutto, scrivendo anche non poche imprecisioni?

Pedoni e ciclisti sono utenti delle strade diversi nelle loro modalità di spostamento, ma simili nella loro vulnerabilità. Hanno esigenze differenti, che vanno conosciute e rispettate, ma per entrambe le categorie il tema della sicurezza stradale è di vitale importanza.

E, se ragioniamo per categorie, allora diciamo pure che gli utenti vulnerabili delle strade dovrebbero essere uniti contro il pericolo reale e concreto rappresentato dalla mobilità pesante, ingombrante, inquinante, veloce e, spesso, realmente assassina (i numeri sono incontrovertibili), rappresentata dai mezzi a motore.

Questo non significa, evidentemente, svalutare le argomentazioni di chi critica i ciclisti-pirati o liquidarle superficialmente, scrollando le spalle o fingendo di non vedere, ma cercare di dare una misura di buon senso ai ragionamenti.

D’altro canto è noto che la stupidità, come insegna il trattato di Carlo Maria Cipolla, è assolutamente trasversale alla divisione in categorie: anche per questo la discussione dicotomica – tutti i buoni di qua, tutto il marcio di là – non mi sembra realistica.

 
A mio parere, e vorrei dirlo a coloro che da ultimo hanno scritto sul tema, questi interventi non sono solo un cattivo servizio alla causa della mobilità sostenibile, ma anche la ennesima dimostrazione che, dell’arretratezza di cui stiamo parlando, hanno responsabilità non soltanto una cattiva politica, che continua a relegare questi temi  a una funzione ancillare, e dei tecnici incompetenti, che avvallano interpretazioni burocratiche di cui l’Italia sembra maestra e a cui le nostre amministrazioni affidano realizzazioni spesso mal progettate, ma anche un’informazione che non svolge bene il proprio ruolo.

Come si fa, infatti, ad essere astrattamente “pro” o “contro” le bici sui marciapiedi, prescindendo dai dati di fatto?


Tre osservazioni puntuali.


1.       Bici e marciapiedi

Conviene tornare a spendere qualche riflessione sul luogo pedonale per eccellenza. Anche perché i marciapiedi, come d’altronde la stessa radice semantica denuncia, sono spazi riservati ai pedoni, cioè a coloro che “marciano a piedi”. Sono esclusi tutti gli altri veicoli, sia in movimento che in sosta.

Non vi è tuttavia alcun dubbio che lo stesso Codice della Strada consenta su di essi, a determinate condizioni, il transito delle biciclette. Non direttamente, però: infatti, per poter percorrere in bici un marciapiede, in base alla normativa vigente, occorre che l’Ente proprietario della strada (in città, solitamente, è il Comune) emetta preventivamente, in relazione allo specifico marciapiede, un'ordinanza e disponga la installazione della relativa segnaletica, orizzontale e verticale.

Al riguardo, le possibilità previste dal Codice della Strada all'art. 39 e dal Regolamento di attuazione del CdS all'art. 122, 9c) - e come altresì definitivamente chiarito dal Decreto ministeriale 30 novembre 1999, n. 557, “Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili”, in G.U. n. 225, 26 settembre 2000, Serie Generale - sono due:

a) pista ciclabile contigua al marciapiede (segnale alla fig. II. 92/a del Regolamento, con riga per separare la sezione di marciapiede destinata ai pedoni da quella destinata alle biciclette);

b) percorso pedonale e ciclabile (segnale alla fig. II. 92/b, senza riga di separazione, e cioè in promiscuo tra pedoni e ciclisti).

In questo caso, come dispone il D.M. n. 557/1999,  la larghezza del marciapiede deve essere maggiore di quanto previsto per la sola pista ciclabile ed avere un traffico pedonale ridotto ed assenza e non trovarsi di fronte ad attività commerciali e ad edifici residenziali ad alta densità abitativa.

Dunque, volendolo, nelle nostre città decine e decine di marciapiedi larghi (ma non necessariamente) e poco frequentati dai pedoni potrebbero ospitare il transito delle biciclette adottando una delle due opportunità sopra indicate (separazione o promiscuità), offerte dal Codice della Strada, e installando i necessari scivoli. Con costi estremamente contenuti e con sicuri benefici per la città.

Può essere questa la richiesta-chiave di chi intende favorire la ciclabilità? Certo che no, perché il nostro obiettivo è quello di togliere spazio alle auto, non di contenderlo ai pedoni.

Ciò detto, è impossibile non notare che sui marciapiedi si segnalano sia ciclisti spericolati, incuranti di chi si muove a piedi o con difficoltà, che ciclisti prudenti, i quali semplicemente cercano di tutelare la propria incolumità dal prepotente traffico veicolare percorrendo civilmente tratti di marciapiede. Ci arrivo nella parte conclusiva.


2.       Bici e Zone Pedonali.

Credo sia opportuno altresì ricordare che le zone pedonali, ormai già dalla riforma del Codice della strada approvata nell’agosto 2003, sono ordinariamente consentite al transito delle bici.

Infatti, l’art. 3 CdS così attualmente definisce l’Area pedonale: «zona interdetta alla circolazione dei veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza, i velocipedi e i veicoli al servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché eventuali deroghe per i veicoli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter essere assimilati ai velocipedi. In particolari situazioni i Comuni possono introdurre, attraverso apposita segnalazione, ulteriori restrizioni alla circolazione su aree pedonali».

Il fatto che siano consentite, non legittima ovviamente comportamenti imprudenti o aggressivi, da parte di nessuno.

E allora veniamo al terzo punto della riflessione.


3.      
In modus est rebus

Per favorire la mobilità dolce, al di là dei proclami e delle buone intenzioni, occorrono provvedimenti concreti. Tenendo presente che, in questi anni, la situazione italiana ha visto alcune realtà, soprattutto piccole, migliorare lentamente, e altre restare al palo. Fra queste ultime, vi sono certamente le grandi città italiane: Milano, Roma, Napoli… Nella giungla, molti si arrangiano come possono.

Se si vuole tuttavia affrontare razionalmente la questione, non si possono istigare conflitti per fare notizia. E occorre partire dall’assunto che non è solo un problema di legittimità formale, ma anche di comportamenti fair.

Se, nel mio buon diritto, mi muovo in bici in una zona pedonale, non sono per ciò solo autorizzato a sfrecciare in zone affollate, sfiorando chi cammina, o mettendo in atto comportamenti pericolosi ed imprudenti. E similmente, se percorro un marciapiede a tutta velocità, rasentando i portoni, spaventando i pedoni, prendendo le curve a gomito, dimostro di essere un arrogante meritevole di punizione, a prescindere che io sia o meno autorizzato dalla segnaletica a transitare su quel marciapiede.

Il problema è dunque quello del “modo” (in modus est rebus), dei modi con i quali alcuni ciclisti – vuoi per ignoranza delle norme, per inesperienza o per arroganza vera e propria  – utilizzano queste aree, in relazione agli aspetti di velocità, condizioni di affollamento, prudenza dei comportamenti. Questo ci sembra tutt’un altro discorso, senz’altro meritevole di approfondimenti, che chiamano in causa ruoli diversi: quelli di chi educa, di chi controlla, di chi informa, di chi sanziona. Occorre svolgere questi ruoli senza cedere a isterie o manicheismi.

L’Italia non ha bisogno né di guerre di religione, né di conflitti – reali o inventati “ad arte” – tra utenti deboli della strada: ciclisti e pedoni stanno dalla stessa parte. E il movimento ambientalista che, da più parti, chiede di cambiare la mobilità e di incentivare e tutelare la mobilità ciclistica non intende con ciò rappresentare una difesa  d'ufficio di comportamenti scorretti e arroganti.


Eugenio Galli (presidente Fiab Ciclobby Milano e responsabile Servizio legale FIAB)

Accedi

Devi inserire Nome utente e Password per inviare un messaggio. Se non li hai prosegui inserendo il contenuto della risposta e i dati personali (nome, cognome e email) oppure Registrati

L'accesso a questo sito è possibile anche per gli Aderenti alla Rete Civica di Milano selezionando nel menu a tendina la voce "Aderente della Rete Civica di Milano".

Contenuto della risposta