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Inviato da avatar Marco Fortunato il 21-05-2021 alle 18:47

Gentile Antonia Chiappini,

molte grazie per le sue parole di apprezzamento del mio intervento a FsN. E grazie per gli interessanti spunti di riflessione che propone, ai quali cercherò di replicare con qualche osservazione.

1) Non c'è dubbio che il racconto del peccato originale presenti un tasso di ingenuità e di naïveté piuttosto alto e abbastanza fastidioso agli occhi di noi contemporanei, esponenti di un'umanità più "vecchia" e in quanto tale più scaltrita e disincantata rispetto a quella cui apparteneva l'autore del libro della Genesi (e, direi, gli estensori delle Scritture in generale, e specialmente dell'Antico Testamento). Non credo però che si tratti di sforzarsi di adattarne contenuto e/o forma alla nostra attuale sensibilità. Pur con il suo evidente aspetto di fabula, va preso per come si presenta e non va preso troppo sotto gamba, perché dice due cose molto importanti, la prima vera e la seconda falsa. La prima è che l'uomo per sua natura è il dicente-di-no, il dis-obbediente, l'insorgente e l'insofferente, in particolare l'insofferente di ogni condizione in cui si venga a trovare "sotto", cioè in stato di subordinazione a chicchessia (Dio incluso). La seconda cosa è che la condizione in cui versiamo (problematica, dolorosa, faticosa, mortale, quindi per tanti versi drammatica) non è, per così dire, la nostra vera condizione, ma è quella in cui siamo stati trascinati/abbiamo trascinato noi stessi per via di una caduta; la nostra condizione vera è quella originaria contrassegnata da una perfectio paradisiaca e, nella misura in cui un tempo abbiamo vissuto in essa, potremmo tornare a goderne in qualche non ben determinato futuro. Ebbene, a dire questa seconda cosa - falsa - è l'inguaribile ottimismo dell'uomo o, se si preferisce, la sua radicale resistenza a guardare in faccia le situazioni per come effettivamente sono e a prenderne atto con una sia pur dolente maturità. E la situazione effettiva è che l'uomo ha fin dal principio versato e continuerà fino alla fine a versare nella condizione penosa, indigente e mortale che tutti ben conosciamo per quotidiana esperienza, perché tale condizione, che peraltro l'uomo s'industria continuamente e in ogni modo ad alleviare (specialmente con le più o meno mirabolanti creazioni della tecnica), non è una condizione divenuta ma è - purtroppo - la nostra condizione vera permanente.

2) Sono assolutamente d'accordo, e infatti la preoccupazione forse principale da cui è stato animato il mio intervento è quella di stornare dall'uomo ogni imputazione di colpa (e, a maggior ragione, di peccato). Gli uomini stanno calati, profondamente confitti in una natura/realtà che ha ben poco di tenero ma manifesta piuttosto una severità e una durezza micidiale che può ben essere descritta (riecheggiando un po' passi leopardiani) dicendo che essa li "erutta-eietta", cioè li mette al mondo, per prendere nelle più varie maniere a tormentarli fin dai loro primi momenti di vita, per fare assaporare loro il fiele della condizione che ho appunto definito quella vera e permanente dell'uomo, per negare loro la felicità e infine per distruggerli-ucciderli (la morte, anche quella cosiddetta naturale e non violenta, resta palesemente un venire ucciso). Così sotto schiaffo, minacciato di morte letteralmente ad ogni istante, posto insomma in un'atmosfera intrinsecamente violenta, l'uomo vi si adegua/non può che adeguarvisi e risponde con quella che sartrianamente potrebbe essere chiamata contro-violenza. Se dunque non ha senso incolparlo di questo, resta però il fatto che l'instancabile indaffararsi dell'uomo, insieme difensivo e offensivo/aggressivo, stupendamente descritto dal primo stasimo dell'Antigone, quel suo ficcarsi in ogni comparto e pertugio della natura per controllare, dominare e sfruttare, insomma quel suo difendersi attaccando e cercando di estendere il suo dominio un po' ovunque che ne fa un'autentica macchina da guerra ininterrottamente "accesa", tutto ciò rappresenta una grave scompostezza, un notevole fattore di volgarità, un'agitazione profondamente anti-estetica. Se dunque non può cadere sotto il giudizio morale che gli addebita una colpa, l'uomo però può-deve subire la valutazione estetico-esistenziale secondo cui il suo allinearsi al modo di fare della natura, che porta anzi per certi versi al parossismo, è vergognosamente sgraziato. Peraltro, come ho detto nel mio intervento a FsN, all'uomo (o almeno a qualche uomo particolarmente sensibile e autocritico) va riconosciuta la grandezza di arrivare ad avvertire la vergogna per questo suo radicale difetto di stile e di patirne anche profondamente. Ma la legge della "fabbrica del mondo" è così inesorabile che, nel momento stesso in cui sente vergogna, continua/non può che continuare a fare del male all'altro-agli altri in modo esplicito o implicito, per vie dirette o per le più indirette.

3) Certo, l'uomo, tranne che in casi apertamente patologici, non compie mai il male per il male, ma sempre sul sentiero dell'inseguimento di qualcuno dei "trofei" politici, pecuniari o erotici nel perseguimento dei quali fa consistere quasi senza residui - miseramente - la propria vita. Ed è anche vero che nascere all'interno di una famiglia mafiosa attivamente impegnata in faide sanguinose comporta un condizionamento e una determinazione ben diversi da quelli cui soggiace, poniamo, il figlio o la figlia di un piissimo pastore protestante che predica non violenza e fratellanza un po' a tutte le ore del giorno. E' notevole, comunque, che sempre di condizionamenti e di determinazioni si tratta, ossia che a contribuire a spiegare il comportamento degli individui - più o meno "buono", più o meno "catttivo" - sono appunto influenze che sfuggono completamente al loro controllo, alla loro volontà, alla loro scelta. E questo, fra i tanti adducibili, non è affatto il meno importante dei motivi che impongono di rimettere radicalmente in discussione l'idea della libertà individuale. La libertà è in ampia misura una fragile, al tempo stesso boriosa e autopunitiva, "invenzione" cristiana. I greci non si sognavano nemmeno di attribuire all'uomo il grado di libertà di cui si fregia (o piuttosto, crede-si illude di potersi fregiare) da quando in Occidente ha preso il sopravvento lo stampo della mens christiana; i greci sapevano benissimo quale ruolo avesse nelle vicende umane la nuda, cieca e sorda, ir-ragionevole Necessità. 

La ringrazio di nuovo e la saluto cordialmente

         M. Fortunato

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