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Che bel tema i negozi di prossimità.
Negozi di prossimità che abbiamo visto sparire negli anni, a favore dei centri commerciali e della standardizzazione e catalogazione commerciale del “modello di cliente”, fino alle ricerche di mercato e ai vari studi di sociologia per capire cosa e come proporre il giusto prodotto al momento giusto, il marketing.
Cosi abbiamo detto addio alle edicole, a molti mercati al coperto, ai negozietti di mercerie e oggetti vari, ferramenta, alimentari generici, erboristerie, specialmente nei quartieri decentrati (non vorrei più citare la periferia poiché termine logorato ed estendibile a ogni aspetto anche del pensiero).
Se pur vero, dovremmo anche parlare della coscienza del cittadino, della capacità di saper discernere e di decidere delle sorti del proprio quartiere.
Certamente si dovrebbe parlare delle responsabilità che la classe dirigente dovrebbe avere, soprattutto per le classi con meno opportunità, le quali non hanno goduto di una certa formazione civica ma anche etica. Il paradosso è che il modello dominante sembra essere quello degli extracomunitari, i quali invece sembrano più preparati a rispondere alle necessità, aprendo piccoli negozi e creando un commercio parallelo, la dove il modello occidentale lascia spazi.
Appare anche un’organizzazione a strati, dove ciascuna etnia si ritaglia un livello di commercio, integrandosi nel quartiere senza mai entrare il conflitto.
Facile dire che si è trattato del modello di sviluppo che abbiamo adottato come comunità, o che abbiamo avallato negli anni dando il nostro contributo in cabina elettorale. A mio parere certi poteri sovrastano la cabina elettorale dunque ne sono totalmente immuni, ma questo è un altro argomento.
Credo che tutti noi cittadini dovremmo riflettere di più sulle nostre scelte, e ogni giorno cercare di salvaguardare il commercio di quartiere anche se questo vuol dire spendere qualcosa di più, considerandolo un investimento, una spesa a tutela della qualità della vita. Sono del parere che la cittadinanza vada raggiunta anche con la formazione nel senso dell’informazione attiva, del risvegliare quelle capacità critiche che oggi sembrano essere quanto meno assopite.
Ha ragione Giulio Beltrami quando parla d'informatizzazione dei piccoli negozi che potrebbero cosi fare rete e provare a contrastare il modello dominante, ma occorre prima un processo di formazione digitale, una specie di corso di massa per portare tutti i cittadini ad un livello d’utilizzo compatibile con l’era della digitalizzazione, oggi completamente nelle mani dei big data e delle organizzazioni che controllano il mercato. Resta una realtà il fatto che le nuove generazioni siano attrezzate.
Credo molto nel recupero dei rapporti umani e nello scambio per osmosi che c’era nei quartieri tra negozianti e clienti, questo è il primo punto di un rilancio della vitalità dei quartieri, una naturale Milano in 15 minuti, come ben scrive Beltrami.
Gianluca Gennai
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