Rispondi a:

Inviato da avatar Giuseppe Maria Greco il 06-02-2024 alle 13:25

Non ho seguito ancora, dato che richiede tempo, la conversazione ininziale. Mi limito quindi a rispondere a quanto inviato da Giulio Beltremi.

Posto di fronte ad una scoperta e alle conseguenti invenzioni, l'essere umano sembra opporre prevalentemente una reazione psicologica. Si sente minacciato infatti nella propria stabilità. Si irrigidisce quindi in un atteggiamento conservativo rappresentato dall'idea dell'  "io so chi sono" e dal porsi quindi a confronto, in quanto riferimento stabile con l'invenzione innovativa. 

In realtà, l'innovazione, per il solo fatto di esser posta in essere, ha già cambiato la persona, che però desidera essere padrona dei suoi mutamenti non succube di essi, che consiudera provocati da interferenze esterne.

Si pone cioè a confronto non con se stesso, per riconoscere i propri mutamenti, ma con l'invenzione, per cui cerca di respingerla o almeno di controllarla, oppure rinuncia al confronto e la persegue acriticamente.

Il problema, in questa chiave, non è l'AI, ma siamo noi, che "cresciamo" insieme all'invenzione così come di fronte a qualsiasi fatto nuovo come la formazione di una coppia, la nascita di un bambino, lo scoppio di una guerra...

Cosa "aumenta" o almeno cambia in noi a seguito dell'invenzione e dello sviluppo dell'AI? Scopriamo così di essere in grado di conoscerci così a fondo da consentirci di costruire tecnologicamente una parte di noi stessi. Lo facciamo con le gambe, le braccia, il cuore e adesso anche con il cervello.

Il problema a mio modesto avviso non sta nel temere che l'AI sia in grado di inventare un cervello migliore del nostro, ma nel fatto che non conosciamo veramente il nostro cervello né la nostra mente.

A questa ansia non possiamo non sommare la sensazione che chi costruisce ed elabora l'AI non siamo noi, ma altri, sconosciuti e potenti.

La perdita del controllo sul mondo percepibile, quella che ci rende ostile quasliasi forma di decisione che non provenga direttamente da noi, sia essa di natura politica o medica o farmacologica ecc,. ci dà l'impressione di un'impotenza diffusa. Da cui le reazioni violente cui assistiamo quotidianamente.

Il problema di fondo quindi sembra porsi in questi termini: se io diffido di tutto ciò che non controllo, come faccio ad accettare le modifiche di me stesso che l'ambiente genera in me?

Lascio aperta la risposta.

GMG

Accedi

Devi inserire Nome utente e Password per inviare un messaggio. Se non li hai Registrati

L'accesso a questo sito è possibile anche per gli Aderenti alla Rete Civica di Milano selezionando nel menu a tendina la voce "Aderente della Rete Civica di Milano".