Neomutualismo per RCM?
“Il mutualismo è un micro processo generativo che costituisce la «grana fine» di macro fenomeni e non è sinonimo di altri schemi di relazione – collaborazione, coordinamento, partnership ecc. – perché rimanda a forme di supporto reciproco basate su una profonda interdipendenza tra gli attori, che richiedono di condividere non solo i mezzi ma i fini di un’azione che non può che essere «comune». Sull’onda di un nuovo attivismo e di trasformazioni in atto lungo i confini sempre più porosi dell’economia sociale e del terzo settore, il neomutualismo agisce, a differenza del passato, non per costruire nicchie al riparo dai fallimenti delle istituzioni tradizionali ma per generare impatto sociale dalle principali trasformazioni socio-tecnologiche, in modo che politica ed economia si rifondino intorno a un nuovo «terzo pilastro» comunitario. Per rispondere a questa sfida le misure settoriali per l’innovazione non bastano più: occorre abilitare un processo (ben più faticoso ma anche più promettente) che incentivi e favorisca la co-produzione e, su questa base, dar vita a percorsi che infrastrutturino un’economia consortile fatta di filiere e reti in grado di favorire la nascita di nuove startup caratterizzate dal digitale come mindset (e non come mero supporto tecnologico), da assetti organizzativi che ricerchino intenzionalmente l’ibridazione e dall’orizzonte orientato verso missioni pubbliche.”
Dall’introduzione del libro Neomutualismo: Ridisegnare dal basso competitività e welfare, di cui allego una presentazione e una intervista.
Ora RCM sta soffrendo della miopia dell'Accademia e della partecipazione altalenante (eufemismo) della Pubblica Amministrazione, che avevano promosso e sostenuto il progetto originario, per cui mi sembra opportuno abbandonare quello che è diventato una finzione, il paradigma della Fondazione di Partecipazione, per esplorare nuove forme di organizzazione, come appunto il Mutualismo.
Si tratta di una rivoluzione copernicana per cui soci, individuali e collettivi, si impegnano e dedicano a difendere e curare i propri interessi nella Infosfera, rinunciando a continuare ad illudersi di potere direttamente influire sull’ambiente digitale, pubblico e privato, esterno.
Naturalmente parliamo di un sano egoismo, per cui il benessere digitale del singolo non può non dipendere da quello della sua collettività.
Quella che potrebbe chiamarsi Unione Rete Civica di Milano potrebbe, con impegno crescente dilazionabile, a vantaggio dei soci:
- Discutere la transizione digitale ed ecologica su partecipaMi.
- Istituire un servizio “badante digitale” su WeMi.
- In prospettiva fare sviluppare e curare un Servizio di Gemello Digitale Civico.
con un modello economico senza profitto, ma sostenibile.